Secondo il Corriere della Sera il viaggio a Kyiv dei leader di Italia Francia e Germania è stato il frutto della diplomazia di Mario Draghi, un suo personale successo per aver convinto Macron ad accelerare i tempi dell'entrata dell'Ucraina nell'Unione Europea e aver strappato a Scholz la promessa (dopo quelle andate a vuoto) di non dire più bugie sugli aiuti militari a Zelensky.
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Con Macron l’incontro decisivo è stato la settimana scorsa, una cena a porte chiuse all’Eliseo. Per la nostra diplomazia e i più stretti collaboratori del presidente del Consiglio quelle due ore fra due persone che si stimano, che hanno legato anche a livello personale, al di là del ruolo istituzionale che ricoprono, sono state al contempo molto «franche» e molto costruttive, un vero successo: l’apparato istituzionale francese a inizio di giugno era ancora fermo all’idea di una comunità politica diversa dalla Ue, alla quale si sarebbe potuta candidare l’Ucraina.
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appare notevole anche lo spostamento della posizione del governo tedesco: dallo scetticismo di qualche settimana fa, dai silenzi che avevano fatto infuriare il governo di Zelensky, a un’inversione di rotta quasi a 180 gradi: il cancelliere non solo promette sistemi missilistici, armi di nuove generazione e la tecnologia Iris, ma pronuncia in modo solenne che sarà «categorico», a Bruxelles, la prossima settimana, nel corso del Consiglio europeo.
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È ancora il capo del governo italiano che accanto a Emmanuel Macron e Olaf Scholz, al termine del confronto con Volodymyr Zelensky, sceglie di approfondire e rafforzare il concetto. È il primo e il più deciso ad annunciare che l’Italia sosterrà senza esitazioni la candidatura di Kiev, lo fa con molta enfasi, maggiore che in passato
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Se da un lato si applaude allo scatto di reni di un'Europa fino a ieri divisa, assente, o impotente, resta il rammarico del tempo perduto.
Se quel treno che nella notte ha portato Draghi Macron e Scholz a Kyiv fosse partito almeno due mesi fa, forse le sorti della guerra scatenata da Putin avrebbero preso una piega diversa, Mariupol non sarebbe stata rasa al suolo e la Battaglia del Donbass si sarebbe già conclusa a favore dell'Ucraina.
Quel treno partito in ritardo ora sembra andare controcorrente: gli Stati Uniti e Biden stanno riducendo l'enfasi e gli aiuti militari, pensano di costringere Zelensky a negoziare una pace basata sulla perdita di Crimea e Lugansk (conservando Donetsk).
I tre uomini in treno non hanno parlato di termini e condizioni di trattativa: "quello che deciderà Zelensky a noi va bene e lo sosterremo", è la posizione ufficiale di Draghi Macron Scholz. Ma dietro le quinte si capisce che la musica è un'altra. Senza gli aiuti militari l'Ucraina dovrà arretrare fuori dal Donbass e non è detto che Putin si fermi sulle rive del fiume Dniepr e abbandoni il sogno di radere al suolo Odessa. I criminali non perdono il vizio.
E poi c'è da trovare una soluzione al blocco del grano entro un paio di mesi, per scongiurare il rischio che dall'Africa affamata arrivino in Europa milioni di disperati, spinti dal ricatto diabolico della Russia.
La guerra vista dal vagone di un treno che dalla Polonia viaggia verso Kyiv ha il chiaroscuro delle tragedie già subite in Europa.
Mario Draghi lo ha capito e questo è un primo grande passo.