Le immagini surreali dei Talebani, fucili a tracolla e abbigliamento medioevale, dentro le stanze del Palazzo Presidenziale a Kabul dopo la fuga del corrotto presidente Ghani sembrano per il momento scongiurare il temuto bagno di sangue nella capitale afghana.
E questa è l'unica buona notizia.
Poi ci sono le immagini della fuga dalle ambasciate, gli elicotteri americani che volteggiano per mettere in salvo il salvabile, senza avere però il tempo di evacuare tutte le migliaia di persone che a Kabul lavoravano e avevano messo su famiglia e affari in venti lunghi anni.
L'apparato politico-militare costruito artificialmente dagli eserciti occidentali, senza badare a spese e corruzioni (più grande dell'intero PIL dell'Italia), si è sciolto in pochi giorni, rivelando purtroppo il vero volto del fallimento epocale messo a nudo dalla rapida avanzata dei Talebani.
In venti anni gli afghani non si sono riconosciuti minimamente nei politici corrotti messi al potere con i soldi e le armi degli americani e dei loro alleati. E quando questi sono andati via, in poche settimane tutto il finto apparato è crollato senza che il popolo sentisse il bisogno di difenderlo.
I Talebani si sono ripresi quello che sauditi e pakistani gli avevano regalato alla fine del '900, quando grazie ai loro appoggi avevano trasformato l'Afghanistan nella base operativa di Osama bin Laden, instaurando un regime violento e medioevale nel nome dell'Islam.
Si chiamerà Emirato Islamico, un modello di cui purtroppo già si sa chi ne pagherà le dure conseguenze.
Per gli Stati Uniti, capofila della "Invincibile Armata" che per 20 anni si era illusa di poter vincere la guerra solo grazie ad una enorme supremazia tecnologica e finanziaria e senza bisogno di convincere un popolo, si tratta al tempo stesso di una sconfitta umiliante, la fine di un brutto sogno e forse l'inizio di un nuovo incubo con il vecchio nome di Al Qaeda.
Negli Stati Uniti si stenta a credere alle immagini che giungono da Kabul, soprattutto dopo le ripetute rassicurazioni da parte dello staff della Casa Bianca sulla tenuta delle "istituzioni" afghane.
Joe Biden non ha interrotto le vacanze e non ha rilasciato dichiarazioni, mentre da più parti gli vengono addossate le colpe di tutti i suoi predecessori sommate a quelle di sua esclusiva proprietà circa la catastrofica organizzazione della ritirata.
Migliaia di afghani che avevano lavorato per gli USA e i suoi alleati sono stati abbandonati sul posto, lasciati alle probabili rappresaglie dei talebani. E questa è un'infamia impossibile da cancellare per la Casa Bianca.
Joe Biden, dopo aver detto che non avrebbe lasciato ad un altro presidente il testimone di una guerra infinita, non aveva altra scelta che quella di ritirare le truppe, come avevano promesso i suoi predecessori Trump e Obama che però non avevano mantenuto l'impegno. Lui invece è stato di parola.
Ma non immaginava di avere a che fare con una banda di generali incapaci di rendersi conto di quanto sarebbe successo in Afghanistan il giorno dopo il ritiro, come se l'intelligence della CIA si fosse ridotta alle dimensioni di un invertebrato.
Ora Biden pagherà il prezzo delle scellerate scelte di Bush, e delle mancate promesse di Obama e Trump, e non sarà solo una questione di sondaggi d'opinione a lui sfavorevoli. La credibilità diplomatica degli U.S.A. subirà contraccolpi violenti e laceranti in ogni angolo del mondo, a cominciare dal medio oriente, passando per l'Iraq e il Pakistan fino all'estremità dell'Asia su cui si appuntano le mire della Cina.
Una vera pacchia per Xi Jinping e Vladimir Putin, ai quali poco interessa la fede islamica dei barbuti talebani e non si faranno sfuggire l'occasione di riempire il vuoto lasciato dagli americani e dagli alleati europei.