I 12 adolescenti uccisi da un razzo sparato da Hezbollah sul villaggio di Majdal Shams erano drusi musulmani, non ebrei.
E il territorio di Majdal Shams è nel Golan siriano, occupato da Israele nel 1967 e mai più restituito.
Ai funerali dei 12 ragazzi e bambini uccisi nel parco giochi, si sono presentati anche alcuni esponenti politici israeliani, tra cui il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, che rappresenta l'estrema destra nel governo Netanyahu, ma la folla non ha gradito e alcuni hanno protestato per la presenza israeliana, sfidando la polizia di Tel Aviv: "Smotrich, assassino, vattene da qui. Non ti vogliamo qui. Non dovresti essere qui. Sei venuto a ballare sul sangue dei nostri figli"
Strage di Ragazzi Drusi a Majdal Shams, Inizia la Guerra in Libano
27 luglio - Un missile lanciato da Hezbollah ha colpito un parco giochi nel villaggio druso di Majdal Shams nel Golan occupato dagli israeliani causando 12 morti , tutti adolescenti e bambini.
Una strage terribile di civili innocenti che si aggiunge alle altre migliaia di vittime quasi tutte palestinesi che dal 7 ottobre 2023 insanguina Gaza, Israele, la Cisgiordania e il Medio Oriente.
La strage degli innocenti di Majdal Shams è l'inizio della guerra di Israele contro il Libano, l'escalation che tutti temono ma che Netanyahu (e Sinwar) benedice per interesse personale, soprattutto dopo l'appoggio incondizionato di Donald Trump.
Il Libano ha condannato la strage di Majdal Shams, sostenendo che l'ordigno che ha ucciso i 12 adolescenti fosse un missile intercettore israeliano.
La destra religiosa israeliana vuole la morte di Nasrallah, il leader del partito di Allah libanese manovrato dall'Iran. Tutto è pronto per l'incendio del Medio Oriente
almodon.com
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Subito dopo la strage, Israele ha accusato Hezbollah, il "Partito di Allah", di aver lanciato il razzo, ma il partito filo-iraniano ha negato e ha insinuato che un malfunzionamento tecnico nel sistema Iron Dome avrebbe causato la caduta del razzo nel parco giochi dei bambini.
Tra i residenti di Majdal Shams circola la voce che le forze israeliane hanno minacciato di arrestare chiunque trasmettesse qualsiasi immagine del razzo esploso nello stadio, e hanno impedito loro di pubblicare qualsiasi foto relativa a questo aspetto.
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La reazione di Israele è appesa ad un sottile equilibrio.
Da un lato è evidente che l'opinione pubblica israeliana, già divisa e scossa dai 9 mesi di guerra a Gaza e dal fallimento delle trattative per liberare gli ostaggi sopravvissuti nelle mani di Hamas, non ha alcuna intenzione di avventurarsi in una guerra in Libano per vendicare 12 ragazzi drusi musulmani.
La retorica nazionalistica dell'estrema destra considera il Golan siriano come un territorio ormai annesso, da cui scacciare le etnie originarie e creare nuovi insediamenti di coloni ebrei. E per raggiungere questo scopo, secondo i fanatici sionisti, è necessario rimuovere qualsiasi rischio, compreso quello delle milizie di Hezbollah.
Inoltre la strage di Majdal Shams è un ottimo pretesto per il governo Netanyahu per continuare a tenere Israele in un perenne stato di guerra, ora che a Gaza stanno per finire di distruggere anche le pietre.
Dall'altra parte una guerra "stile Gaza" in Libano sarebbe altamente rischiosa, sia politicamente che militarmente, perché Hezbollah ha un arsenale 10 volte più grande di quello di Hamas e convive da anni con i generali iraniani.
Una guerra in Libano consentirebbe a Netanyahu di regolare i conti anche con Khamenei, la cui minaccia nucleare èp sempre incombente, ma fino a quando alla Casa Bianca c'é Joe Biden l'obiettivo è precluso. Gli Stati Uniti vogliono una de-escalation, sia a Gaza che nel resto del Medio Oriente.
La soluzione più probabile, che tiene conto dei vari aspetti collaterali alla strage di Majdal Shams, è che Israele colpirà duramente alcuni siti militari di Hezbollah in Libano, magari anche nella capitale Beirut, ma gli attacchi saranno circoscritti e limitati nel tempo, in modo da lasciare a Nasrallah la scelta di reagire con una escalation o di accettare il "pari e patta" .
Che non significa fine delle ostilità, ma una continuazione "controllata" del confronto militare.