Scene di entusiasmo sincero, profondo, dirompente, hanno accompagnato le prime notizie e poi la conferma della clamorosa vittoria delle opposizioni nel referendum di Hong Kong . Una metropoli di sette milioni di abitanti, carica di problemi, diseguaglianze e tensioni sociali, dietro una facciata di tranquillo porto commerciale e finanziario, una storia di benessere ed emancipazione di cui pochi ora trovano traccia, da sei mesi viveva nello stress e nella oppressione culminata nell'assedio al PolyU, con migliaia di studenti costretti ad umilianti violenze ed arresti e le loro famiglie sprofondate nell'ansia. Dopo la valanga pro-democracy ad Hong Kong, le prime reazioni di Pechino sono improntate alla cautela, o meglio a prendere tempo per individuare una strategia alternativa a quella che e' stata clamorosamente, e senza attenuanti, bocciata nel voto-referendum di domenica dal 60% dei tre milioni di cittadini che si sono recati alle urne. Pechino sperava che la "maggioranza silenziosa" della citta' esprimesse un voto contro "la violenza e il disordine" causati dalle proteste dei pro-democracy, una strategia che puntava sulla violenza della polizia "antisommossa" in modo che provocasse reazioni sempre piu' violente ed esasperate da parte dei giovani oppositori, per convincere i ceti medi della citta' a schierarsi con il governo, con l'ordine e la convenienza economica. La strategia e' fallita miseramente e Xi Jinping dovra' ora trovarne un'altra in una condizione di ancora maggiore difficolta'. La vittoria del fronte pro-democracy e' una enorme iniezione di fiducia e determinazione, dopo sei mesi durissimi di scontri e repressione con cui il regime puntava ad isolare e fiaccare l'opposizione. La maggioranza quasi assoluta di rappresentanti nei distretti assicura un rapporto solido con il territorio, cioe' con la gente e prefigura un possibile successo nelle elezioni legislative del prossimo anno, ben piu' importanti di quelle di domenica ma con uno sbarramento discrezionale da parte di Pechino nella scelta dei candidati e dei partiti ammessi al voto. Il fronte pro-democracy ne' e' consapevole e per questo ha inserito tra le "cinque richieste, non una di meno" quella di far svolgere le prossime elezioni con il suffragio universale che sicuramente replicherebbe la vittoria nei distretti. Carrie Lam dopo la batosta dichiara "ascolteremo i cittadini", ma quello che i cittadini chiedono da sei mesi, senza essere ascoltati, e' solo l'accoglimento delle "cinque richieste, non una di meno": - ritiro definitivo e ufficiale della proposta di "legge sull'estradizione" - una commssione di inchiesta indipendente sulle violenze commesse dalla polizia - ritirare la definizione di "sommossa" in ogni vicenda collegata alle proteste da giugno in poi - amnistia per tutti i manifestanti arrestati - introduzione del suffragio universale nelle elezioni del Capo dell'Esecutivo e del Consiglio Legislativo (il "parlamento" della citta') Le affermazioni di Carrie Lam e degli altri burocrati di regime hanno ben poco valore e servono solo a prendere tempo, per cercare di riorganizzare le fila e di arginare l'entusiasmo contagioso che e' scaturito dal voto. Sulla scia di questo entusiasmo il processo di indipendenza di Hong Kong potrebbe diventare inarrestabile ed allargarsi anche alla Cina continentale, nonostante la rigida censura di regime. Perche' gli organi di regime cercano di non drammatizzare l'esito del voto, e poi mantengono censure e repressioni sul resto del paese? Perche' il voto concesso alle opposizioni ad Hong Kong non puo' essere dato a Pechino ? Questa e' la domanda che comincera' a farsi strada nei prossimi mesi, e prefigura lo scenario piu' inquietante per Xi Jinping, le cui fortune iniziano a traballare : la possibilita' del contagio, l'esplodere di richieste di democrazia, la fine del regime di oppressione, in poche parole che i due sistemi in un'unica nazione diventino uno solo ma piu' simile a quello di Hong Kong che a quello di Pechino. la possibilita' del contagio, l'esplodere di richieste di democrazia, la fine del regime di oppressione, in poche parole che i due sistemi in un'unica nazione diventino uno solo ma piu' simile a quello di Hong Kong che a quello di Pechino.