Il 29 giugno scorso, mentre i media di tutto il mondo rilanciavano le immagini di Vladimir Putin tra la folla festante nel Daghestan (i maligni hanno ipotizzato che fosse un sosia) il boss del Cremlino riceveva nei suoi principeschi e ovattati uffici nientemeno che "il traditore" Prigozhin, colui che 4 giorni prima aveva messo in marcia "per la giustizia" verso Mosca i carri armati le milizie della sua compagnia privata Wagner, aveva abbattuto un paio di aerei militari mandati da Shoigu uccidendo una ventina di soldati russi.
Poi la mediazione del capo mandamento bielorusso Lukashenka, disposto ad ospitare il boss Prigozhin in esilio chiedendo al superboss Putin di ritirare le accuse.
Mentre tutti si chiedevano "dov'è Prigozhin", con quale barba finta si camuffa a Minsk per sfuggire ai sicari del Cremlino, i boss mafiosi si riunivano il 29 giugno scorso proprio nel palazzo di Mosca, invitati dal capo dei capi, per fare la pace, saldare i conti e ricominciare a fare la guerra a Zelensky e agli ucraini.
Nell'altalenante tragicommedia che da due settimane si svolge in una Russia sempre più vilipesa e simile alla Chicago di Al Capone, l'ennesimo colpo di scena, confermato dal maggiordomo Peskov, dimostra che Putin è stato costretto a pagare il conto a Prigozhin, ha dovuto trattare sotto la minaccia dei carri armati diretti verso la Piazza Rossa e l'unica concessione che è riuscito a strappare è stata quella di celare il più possibile i contorni della "strana rivolta".
La notizia dell'incontro è stato uno sgarbo a Putin che Peskov ha dovuto confermare:
"In effetti, il presidente ha avuto un tale incontro. Ha invitato 35 persone. Tutti i comandanti di squadra e la direzione della compagnia. Compreso lo stesso Prigozhin. Questo incontro ha avuto luogo al Cremlino il 29 giugno. È durato quasi tre ore", ha detto ai giornalisti.
Secondo Peskov, Putin durante il meeting "ha dato una valutazione delle azioni della compagnia al fronte durante il NWO, e ha anche dato la sua valutazione degli eventi del 24 giugno, ha ascoltato le spiegazioni dei comandanti e ha offerto loro ulteriori opzioni per continuare il lavoro".
Tradotto: Putin è dovuto scendere a patti con Prigozhin per salvare il suo traballante regime, questa è la semplice verità.
Prigozhin nella marcia su Mosca si è tirato indietro all'ultimo momento non per evitare di vedere il sangue russo scorrere nelle strade di Mosca, lui alla vista del sangue di qualsiasi etnia è abituato, ma solo perché gli è stato promesso che avrebbe ottenuto gran parte di quanto richiesto con un pò di pazienza.
In sintesi, Putin ha dovuto pagare il conto a Prigozhin.
La notizia dell'incontro di "riappacificazione" tra i due criminali paradossalmente non rafforza nessuno dei due, ma Putin ne esce ancora più malconcio.
Prigozhin deve accontentarsi di fare il mercenario, abbandonando il sogno di una carriera politica personale. Salva la pelle e gli affari, ma resta un semplice cuoco-macellaio.
Putin dimostra di essere debole, indeciso, e soprattutto di essere circondato da un apparato di incapaci o infedeli, di cui non sa come liberarsi.
La "pace" con Prigozhin non è un gesto di furbizia, ma la presa d'atto che gli è impossibile eliminarlo e gli è impossibile fare a meno di 30 mila mercenari Wagner sul fronte ucraino.
E' di oggi la notizia che la guarnigione russa rimasta a presidiare le macerie di Bakhmut (rasa al suolo e "presa" dopo 8 mesi di assedio della Wagner) sarebbe stata circondata dall'esercito di Zelensky e sarebbe in ritirata.
In Russia il prezzo delle cipolle rispetto ad un anno fa è raddoppiato, è naturale che anche i mercenari di Wagner pretendano più denaro per "lavorare" nel mattatoio Ucraina.
L'editorialista di "Moskovsky Komsomolets" Mikhail Rostovskij spiega a modo suo "perché a PMC Wagner è stata data una seconda possibilità"
"Il politico di maggior successo e fortunato della Russia moderna. Non solo. Il politico di maggior successo di tutte le epoche e i tempi politici russi e sovietici - un tale titolo onorifico dovrebbe essere assegnato a Yevgeny Prigozhin dopo la sensazionale dichiarazione del portavoce del Cremlino questo lunedì.
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Putin ha fatto questa valutazione e ha fatto la sua scelta: una scelta a favore del pragmatismo e non di alcuni standard formali (mettiamola così). Naturalmente, la dichiarazione del 10 luglio di Dmitry Peskov non è la fine della storia. Rimangono ancora aperte varie questioni, la principale delle quali si presenta così: dove sono le garanzie che gli eventi del 24 giugno non si ripetano?
Queste garanzie non possono essere ridotte alle assicurazioni di lealtà di qualcuno (sebbene anche di queste, ovviamente, non si possa fare a meno). Il sistema di gestione in uno Stato efficiente non funziona così. Il sistema amministrativo in uno Stato efficiente rende impossibile l'idea stessa di ribellione. Putin ne è ben consapevole, o addirittura lo sa meglio di tutti. Ma ciò che il presidente farà dopo sulla base di questa conoscenza non diventerà necessariamente di pubblico dominio.