Nelle ore successive all'abbattimento del drone militare degli Stati Uniti al confine con l'Iran, erano scattati i preparativi per un attacco aereo di rappresaglia, ma poi improvvisamente e' partito il contrordine di Trump, "fermi tutti". Perche'? Premessa La crisi USA-Iran dura fin dai premi mesi dell'elezione di Donald Trump a presidente, quando preannuncio' il ritiro dagli accordi sul nucleare sottoscritti dall'amministrazione Obama nel 2015. Il ritiro e l'inasprimento delle sanzioni verso l'Iran datano un anno fa e da allora e' iniziato il conto alla rovescia che dovrebbe far scattare da un momento all'altro un conflitto di proporzioni sconosciute in tutta l'area del Medio Oriente, dove di polveriere a cielo aperto, dalla Siria allo Yemen, ce ne sono gia' tante. Secondo molti analisti, quando Trump ha stracciato l'accordo di Obama non aveva un piano B su come gestirne le conseguenze : Peter Bergen analista della CNN scrive: "L'abbattimento di un drone militare americano da parte dell'Iran giovedi' sottolinea che il conflitto tra Stati Uniti e Iran si sta approfondendo. e' una crisi che il presidente Donald Trump ha provocato prevedibilmente ritirandosi dall'accordo nucleare iraniano poco piu' di un anno fa - senza un vero piano B oltre l'imposizione di sanzioni sempre piu' severe al regime iraniano. Ma la storia diventa piu' complicata, perche' nelle ultime settimane Trump ha inviato messaggi contrastanti riguardo alle sue vere intenzioni. Venerdi', ha detto che voleva parlare con gli iraniani (che hanno respinto). Tuttavia, a maggio, Trump ha twittato che una guerra con l'Iran sarebbe stata "la fine ufficiale dell'Iran". E dopo che il drone statunitense e' stato abbattuto giovedi', ha twittato: "L'Iran ha fatto un errore molto grande!" Prima dell'abbattimento del drone militare, rivendicato ufficialmente dall'esercito iraniano, si erano verificati sei attacchi ad altrettante petroliere in transito nello stretto di Hormuz privi di rivendicazione ma di cui gli USA hanno attribuito, a ragion veduta, la responsabilita' all'Iran. La domanda ovvia che tutti si fanno a questo punto e': cosa aspetta Donald Trump prima di dare una risposta "esemplare" alle "provocazioni" iraniane ? Ha in mente qualcosa (non lui in persona ma i suoi strateghi militari) che necessita di altri dettagli prima di essere realizzato, oppure e' rimasto intrappolato in un vicolo cieco nella valutazione dei pro e dei contro di una attacco dalle conseguenze imprevedibili ? I sostenitori della prima tesi - una posizione di attesa ma con una strategia gia' definita - fanno leva sulla scadenza del fine mese, con il G20 di Tokio dove Trump Putin e Xi Jinping ( e gli europei a fare da turisti) dovranno discutere alcune questioni importanti. Per non turbare il G20, ogni reazione militare USA verrebbe congelata e dispiegata solo dopo gli incontri di Tokio. Una variante di questa tesi e' che la rappresaglia anti Iran verrebbe scatenata da Trump proprio durante il vertice del G20, come dimostrazione di forza e dominio sotto i riflettori del mondo intero. Improbabile, ma il personaggio ispira queste sceneggiature hollywoodiane. La seconda tesi - quella del vicolo cieco o comunque di una situazione in cui il bilancio costi-benefici e' incerto - poggia su considerazioni piu' concrete e in parte spiegate anche dalle mosse degli iraniani. Allo stato attuale una escalation politico-militare tra USA e Iran, che arrivi a sfiorare senza oltrepassare, la linea del conflitto militare globale, giova molto di piu' al regime degli ayatollah che non al biscazziere americano. In termini economici, date le sanzioni durissime gia' applicate, le tensioni militari provocherebbero un aumento del prezzo del petrolio che potrebbe arrivare ai 100 dollari un attimo dopo che le prime bombe americane esplodano sul territorio iraniano, e conseguenze di rallentamento economico e di shock sui mercati finanziari. Il blocco dello stretto di Hormuz in cui transitano gran parte delle superpetroliere che trasportano il petrolio estratto dai pozzi dei paesi arabi creerebbe piu' danni agli alleati di Trump (sauditi in testa) che non agli iraniani. Inoltre uno scenario di guerra non-guerreggiata giova all'economia dell'Iran (il poco petrolio che riescono a vendere frutterebbe maggiori introiti) e al contrario danneggerebbe molto di piu' gli USA e le chance di rielezione di Trump. Senza contare il fatto che lo scontro politico-militare compatterebbe il fronte interno sciita in chiave anti-americana e consentirebbe di portare a termine il programma di costruzione della bomba atomica iraniana in una situazione priva di controlli e restrizioni. E' probabile quindi che il topolino iraniano cerchera' ancora di provocare qualche reazione scomposta e contraddittoria dell'elefante americano. Post Scriptum I piu' maligni arrivano anche a ipotizzare un intervento dell'ultima ora del finanziere nero Robert Mercer, grande e generoso sostenitore della campagna elettorale di Trump, interessato a realizzare enormi speculazioni sui mercati finanziari sulla base delle "soffiate" (insider trading) fornitegli dal biscazziere. Gli avrebbe consigliato di aspettare ancora un po', prima di scatenare l'inferno nel Medio Oriente, per consentirgli di posizionarsi sugli asset speculativi piu' convenienti. Un argomento a cui l'insider trader Trump e' molto sensibile. Uno scenario di guerra non-guerreggiata con gli USA giova piu' all'Iran