Il caso ha voluto che due dei più efferati omicidi di cui le cronache politiche si siano occupate negli ultimi anni, l'omicidio di Giulio Regeni a il Cairo e l'omicidio di Jamal Khashoggi nell'ambasciata saudita a Istanbul, siano accaduti, per motivi diversi e imprevedibili, lungo le strade attraversate da Matteo Renzi.
Le tristi storie del giovane ricercatore italiano e del giornalista dissidente saudita hanno in comune solo una circostanza: entrambi chiamano in causa il ruolo di un regime più o meno sanguinario, quello di Abdel Fattah al-Sisi in Egitto e di Mohammed bin Salman (MbS) in Arabia Saudita.
Entrambi sono scaturiti dall'iniziativa degli apparati repressivi e sono la punta dell'iceberg di violazioni generalizzate e acclarate dei diritti umani e politici nei rispettivi paesi.
L'omicidio di Giulio Regeni ci colpisce in modo diretto ed emotivo. Il volto di Giulio è quello di un nostro figlio, buono, meritevole, impegnato, italiano. Lo strazio dei genitori di Giulio ci appartiene. Matteo Renzi era Presidente del Consiglio da due anni quando Giulio venne ingoiato nell'abisso dei torturatori di al-Sisi, la sera del 25 gennaio 2016. Anzi, no, era il 31 gennaio 2016, secondo il calendario di Matteo Renzi.
L'omicidio di Jamal Khashoggi era rimasto ignoto alla gran parte dell'opinione pubblica italiana, a differenza di quella americana, perchè Jamal da tempo viveva negli Stati Uniti dove lavorava per il Washington Post, e i pochi che in Italia si erano interessati al suo atroce caso non avrebbero mai immaginato di vedere accostato il suo nome a quello di Matteo Renzi.
L'incrocio del caso Khashoggi-bin Salman con Matteo Renzi è accaduto per caso, per la coincidenza con la crisi di governo, verrebbe voglia di dire con "l'omicidio politico" di Giuseppe Conte, e la strafottenza con cui "lo sceicco di Rignano" ha risposto a chi lo criticava per i suoi legami di affari con il "principe rinascimentale", ignorando l'omicidio di Khashoggi e le violazioni dei diritti umani, con la ciliegina delle offensive considerazioni sulle ottime condizioni di lavoro in Arabia Saudita.
L'oscenità del duetto mediatico Renzi-bin Salman è stata consacrata dalla decisione di Joe Biden di desecratare il rapporto della CIA che accusa esplicitamente lo sceicco di Riad di essere il mandante politico-organizzativo della banda di criminali con sega elettrica.
Il cinismo con cui Renzi ha trattato la polemica sulle sue relazioni con MbS ha sporcato anche l'immagine del nascituro governo Draghi. Una "nobile operazione" nata dal complotto dell'amico di un despota sanguinario è un pò meno nobile.
Meno evidente e con meno clamori è stato invece trattato l'incrocio tra Matteo Renzi e l'omicidio di Giulio Regeni, di cui nei mesi scorsi avevo iniziato ad interrogarmi dopo i primi report sull'audizione dell'ex primo ministro alla Commissione parlamentare di indagine sul caso Regeni.
MATTEO RENZI SU OMICIDIO REGENI, UNA VERITA' (BUGIA?) DA APPURARE
Nel corso dell'audizione Renzi ha dichiarato: "Un rimpianto c'è. Se avessimo saputo prima, forse, avremmo potuto intervenire. Fummo avvisati soltanto il 31 gennaio". Ma nel pomeriggio è arrivata una precisazione dal ministero degli Esteri: "In merito alle dichiarazioni rese oggi dall'ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi alla Commissione d'inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni, la Farnesina precisa che le Istituzioni governative italiane e i nostri servizi di sicurezza furono informati sin dalle prime ore successive alla scomparsa di Giulio il 25 gennaio 2016. Il ministero degli Esteri ricorda inoltre che tutti i passi svolti con le più alte Autorità egiziane sono stati ampiamente documentati e resi noti alle Istituzioni competenti a Roma dall'Ambasciatore Massari nelle sue funzioni di Ambasciatore d'Italia al Cairo".
Mi aveva colpito quell'affermazione sul "rimpianto" di Renzi: se avessimo saputo prima ... l'uso cinico del plurale per coprire una responsabilità individuale, l'ombra che Renzi stesse nascondendo le proprie responsabilità dietro una bugia ... nessuno mi ha avvisato prima. Il tentativo di scaricare sul ministero degli esteri - l'ex maggiordomo Gentiloni - la colpa del ritardo che è costata la vita a Giulio Regeni.
Confesso di aver avuto un moto di rabbia leggendo le prime cronache sull'audizione del 24 novembre scorso, mi sono chiesto come mai la stampa e la politica nazionale avessero dato poco risalto alla palese bugia (.. se avessimo saputo prima ..) di Renzi.
La spiegazione forse stava nel fatto che lo sceicco di Rignano bin-Renzi proprio in quei giorni aveva accelerato i preparativi per l'eliminazione di Giuseppe Conte. Non si voleva urtare la sua suscettibilità oltre misura, qualcuno ancora sperava di poterlo convincere a non staccare la spina.
Mi ero ripromesso di aspettare la pubblicazione del testo integrale dell'audizione, prima di dare un giudizio più categorico.
La pubblicazione della bozza di trascrizione dell'intervento di Renzi in Commissione Regeni ha avuto un notevole ritardo rispetto alla prassi, ed è arrivata quasi in concomitanza con la trascrizione dell'audizione dell'11 febbraio scorso dell'allora ministra Federica Guidi, che si trovava a il Cairo in missione d'affari proprio il 3 febbraio 2016, giorno in cui fu ritrovato il cadavere straziato di Giulio Regeni sul ciglio di una strada di periferia.
Per la cronaca, l'intervento dell'ex ministra Guidi, inviata d'affari di Matteo Renzi, si distingue da tutti gli altri per l'incredibile numero di "non ricordo" e per aver confuso il suo viaggio a Il Cairo con un altro ad Algeri. Se fosse stata la testimonianza resa di fronte ad un magistrato sarebbe stata incriminata per reticenza.
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Consiglio a tutti la lettura della bozza trascritta dell'audizione di Matteo Renzi.
E' incredibile il modo arrogante in cui non solo non risponde alle domande dei commissari ma si dilunga e si atteggia ad esperto di diplomazia internazionale invece di rispondere alla semplice domanda :
E' vero, e perché, sia stato informato del sequestro di Giulio Regeni solo il 31 gennaio? sei giorni dopo il rapimento e due giorni prima della probabile data di morte?
Spero che qualche magistrato, magari gli stessi Colaiocco e Prestipino che indagano sugli aguzzini di al-Sisi responsabili della morte di Giulio Regeni, prenda il testo dell'audizione di Matteo Renzi in Commissione Regeni e apra un fascicolo a carico di ignoti per omissione in atti di ufficio e favoreggiamento nell'omicidio di Giulio Regeni.
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La lettura del testo integrale dell'audizione di Matteo Renzi in Commissione Regeni fornisce un documento di sintesi, una summa teorica del suo pensiero politico che è alla base anche delle recenti iniziative, ivi compresa quella di rappresentare il regime saudita di MbS come un "nuovo Rinascimento", ignorando la realtà dei diritti umani e il metodo di eliminazione dei dissidenti ed oppositori, culminato nella "segheria" dell'ambasciata di Istanbul in cui è stato fatto a pezzi Jamal Khashoggi.
Le considerazioni che Renzi svolge ai margini delle domande dei commissari parlamentari, sono la prova più evidente della bugia come strumento indispensabile per coprire le scelte politiche.
Quando Renzi dichiara di aver saputo del sequestro Regeni solo il 31 gennaio, senza fornire una motivazione o un responsabile di un così grave ritardo, sa che la menzogna non è credibile per chi lo ascolta ma sa anche che niente e nessuno avrà la possibilità o la voglia di smentirlo e sbugiardarlo.
Quando gli viene chiesto, prima della pubblicazione del rapporto della CIA, se era a conoscenza delle ombre sul ruolo di MbS in merito all'uccisione di Khashoggi, non può negarle, ma le rigetta con le bugie sull'inchiesta avviata dal regime per punire i responsabili dell'assassinio.
E dopo che gli Stati Uniti hanno esplicitamente accusato MBS di essere il mandante dell'omicidio, Renzi risponde ai suoi critici con gli stessi argomenti che ha usato in Commissione Regeni.
Ovvero la sua summa teorica: "Così va il mondo di chi vuol esser lieto, baby!"
Resoconto stenografico dell'audizione di Matteo Renzi
Seduta n. 22 di Martedì 24 novembre 2020
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Audizione del senatore Matteo Renzi, già Presidente del Consiglio dei ministri.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del senatore Matteo Renzi, già Presidente del Consiglio dei ministri.
Come noto, il senatore Renzi presiedeva il Consiglio dei ministri quando Giulio Regeni è stato sequestrato e ucciso. La sua audizione riveste pertanto particolare rilievo, nel quadro degli approfondimenti che la Commissione sta concludendo con i responsabili della guida del governo e della politica estera che si sono succeduti fino a oggi.
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Invito il senatore Renzi a svolgere la sua relazione ringraziandolo per la disponibilità manifestata a collaborare con la Commissione.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Grazie, presidente, e buon lavoro ai commissari.
Penso che qualsiasi valutazione sulla vicenda di Giulio Regeni non possa che partire da un aspetto umano, quello del dolore di una famiglia – di una madre, di un padre, di una sorella – e dall'atrocità di ciò che è accaduto.
Lo dico perché nella mia riflessione mi soffermerò di più sulle questioni istituzionali e sulle questioni diplomatiche, ma non c'è giorno e non c'è occasione in cui si pensi a questa vicenda e in cui immediatamente il pensiero non vada alla famiglia che abbiamo incontrato. L'onorevole Serracchiani lo ricorda perché nella sua veste istituzionale è stata la prima ad accompagnare la famiglia a Palazzo Chigi, essendo presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia. Quegli incontri hanno lasciato nei nostri cuori innanzitutto il sentimento di un dolore che non è minimamente recuperabile. Lo volevo dire, presidente, perché questo è il primo punto e qualsiasi valutazione la famiglia Regeni potrà fare, ha già fatto e sta facendo circa eventuali critiche o stigmatizzazioni di comportamenti, è del tutto legittima e comprensibile. Io sono genitore da poco di uno studente universitario: il mio primo figlio è diventato studente universitario da poco, si avvicina dunque ad avere l'età che aveva Giulio. Se tu sei padre o madre e pensi che ti possano portare via un figlio in quel modo, secondo me ogni reazione è da accettare, capire e comprendere.
Ho fatto questa premessa perché, spostandomi sul piano istituzionale, devo rivendicare con forza quello che ha fatto il Governo. Lo faccio con estrema convinzione perché non si è trattato del lavoro di un singolo, ma di una risposta dell'Italia a un fatto che evidentemente è inaccettabile, a un fatto che va chiarito nelle sedi opportune – vale a dire le sedi della magistratura – e che va presentato all'opinione pubblica per quello che è, senza verità di comodo.
Quando noi abbiamo saputo ciò che stava accadendo al Cairo, abbiamo reagito mettendo in campo tutti gli strumenti. Se lei è d'accordo, signor presidente, io mi limito a ricordare che ciò che ha detto in sede di Commissione il Ministro degli affari esteri di allora, l'onorevole Paolo Gentiloni, ma anche l'ambasciatrice Belloni, a nome della Farnesina, è, per quello che mi riguarda, totalmente corrispondente al vero. Non ho dunque da fare ulteriori riferimenti fattuali: vale per me ciò che ha detto il Ministro degli affari esteri di allora. Immagino che questa ricostruzione possa essere la base per eventuali domande, riflessioni e suggerimenti. Da quel momento noi abbiamo lavorato tutti insieme a livello istituzionale come una squadra. Abbiamo dei rimpianti? Voglio essere molto sincero, sì. Io, perlomeno, tante volte mi sono chiesto perché abbiamo saputo questa notizia soltanto nella giornata del 31 gennaio. Forse, se avessimo saputo prima, avremmo potuto agire prima, anzi, sicuramente, ma quello che è certo è che, nel momento in cui siamo stati messi a conoscenza degli eventi, la reazione a tutti i livelli è stata di totale sintonia, di gioco di squadra, anche, se vogliamo, di un gioco diversificato, nel senso che la Farnesina svolge un ruolo, l'intelligence svolge un altro ruolo, Palazzo Chigi svolge un altro ruolo, ma tutti abbiamo lavorato per lo stesso obiettivo.
Dobbiamo fare un passo indietro, probabilmente, e ricordare che cosa stava accadendo in quegli anni. Il nostro Governo aveva molto scommesso su una partnership privilegiata con l'Egitto di al-Sisi. Non era scontato questo fatto perché, come ricorderete, anche nella comunità occidentale vi erano opinioni diversificate. Ricorderete che, ad esempio, il presidente Obama – con il quale abbiamo lavorato molto bene insieme negli anni del governo – aveva svolto un importante discorso al Cairo in un altro momento della vita egiziana, con un'altra leadership in Egitto. E tuttavia anche nelle sedi dell'Unione europea e nel rapporto con gli americani, noi avevamo cercato di valorizzare l'importanza dell'inserimento dell'Egitto nel contrasto al terrorismo internazionale, al Daesh. Siamo nel gennaio 2016, ma io sto parlando del periodo che va dal 2014 al 2016. Nel giugno 2014 c'è stata la conquista di Mosul e c'è stata una crisi fortissima della comunità internazionale davanti all'aggressione del Daesh; nel novembre 2015 c'è stata la strage del Bataclan. Questo inserimento deve essere fatto in un arco temporale nel quale la comunità occidentale vive il terrorismo internazionale come una priorità decisamente superiore rispetto a quella di oggi e, ovviamente, io dico fortunatamente. Adesso le cose, anche se con mille problemi – abbiamo visto quello che è successo a Vienna e a Nizza – comunque sono leggermente migliorate. L'Egitto allora era uno dei punti di riferimento di questa lotta contro il terrorismo internazionale.
Lo dico in un altro modo. Se voi andate a rileggere i report di allora, vedrete che c'è scritto in tanti documenti, com'è ovvio che sia, che, se l'Egitto fosse crollato, ci saremmo trovati di fronte a una situazione di insostenibilità della lotta al Daesh. L'Egitto era una diga nel «racconto internazionale», tanto è vero che nel progetto di riforme che al-Sisi aveva messo in piedi particolare importanza era data alla questione economica. Egli aveva organizzato a Sharm el-Sheikh un importante appuntamento di presentazione di progetti del futuro dell'Egitto al quale l'Italia era invitata come uno degli ospiti principali con l'allora Presidente del Consiglio, ma al quale dopo lunga discussione aveva deciso di partecipare anche il Segretario di Stato americano John Kerry per dare il primo segnale di riavvicinamento tra gli Stati Uniti e la nuova leadership egiziana. Non è forse questa la sede per una dettagliata analisi geopolitica, e sono pronto, ovviamente, a rispondere nel merito a ulteriori domande, ma quello che voglio dirvi è che l'Egitto in quel momento giocava questo ruolo e il nostro rapporto con al-Sisi era un rapporto costante. Per questo, quando il 31 gennaio siamo informati – il Ministro degli esteri, l'Autorità delegata e il sottoscritto – immediatamente noi andiamo con i nostri canali a segnalare la cosa ai massimi livelli egiziani.
Ecco perché dico che se lo avessimo saputo prima, forse avremmo potuto fare prima qualcosa.
Ma quando lo sappiamo, abbiamo un rapporto con gli egiziani per il quale diciamo: «Che cosa sta succedendo?». Avete già avuto modo di ascoltare dalle audizioni come ci fosse una serie di circostanze particolari. Il Ministro dello sviluppo economico, la dottoressa Federica Guidi, in quelle ore si trovava lì e svolgeva una funzione di tramite diretta con il presidente al-Sisi. Fatto sta che il nostro rapporto con gli egiziani era un rapporto ottimo. Quando veniamo informati di quello che era successo, la reazione immediata dell'Italia ai massimi livelli è di richiesta di collaborazione e di preoccupazione che diventa ovviamente indignazione, sdegno e dura condanna quando il corpo del povero Giulio Regeni viene ritrovato. Anche su questo so che avete già avuto modo di ascoltare le peculiarità del ritrovamento, tutto quello che vi è stato segnalato sia dagli ambienti istituzionali sia dai responsabili della Procura di Roma.
Quando dico che abbiamo fatto tutto, dico che noi abbiamo spiegato con molta chiarezza al presidente al-Sisi che non avremmo accettato verità di comodo. Cerchiamo di essere espliciti: non è purtroppo infrequente, in Paesi che hanno standard di democrazia e di rispetto dei diritti umani decisamente diversi dai nostri, che vi siano sparizioni anche di cittadini stranieri. Non è un caso che proprio in Egitto un cittadino francese abbia subito una sorte che possiamo definire analoga, nella disperazione e nella tragedia, a quella occorsa a Giulio Regeni. In quei casi dipende molto da come reagisce un Governo. Noi siamo stati chiari con quel Paese di cui eravamo stati tra i principali collaboratori. Abbiamo detto che non avremmo accettato verità di comodo. Su questo punto non soltanto rivendico quello che abbiamo fatto, ma sfido chiunque a dire il contrario. Nel momento in cui la notizia devastante della morte è diventata ufficiale, io ho avuto un unico obiettivo – al netto, ovviamente, del dare, come si fa in questi casi: un sostegno logistico, organizzativo e per quanto possibile, psicologico, ma ci siamo capiti. Credo sia impossibile sostenere davvero una famiglia che vive quel lutto.
Quello che abbiamo detto è che noi volevamo la verità. Prima di qualsiasi altra cosa, noi volevamo la verità. Questo è il punto che io vorrei restasse agli atti: uno stile di governo che noi abbiamo avuto e che, presidente, a mio giudizio deve essere oggetto di valutazione, non già della Commissione d'inchiesta parlamentare sulla morte di Giulio Regeni, ma del Parlamento nella sua interezza. Di fronte a casi del genere, auspicando che non ve ne siano più, come reagisce un Paese? Ci sono tanti Paesi nel mondo in cui lo standard democratico e dei diritti non è lo stesso nostro. Noi non avevamo una normativa su questo. Ad esempio la Procura di Roma – e credo che avrà modo di spiegarlo in modo dettagliato l'allora Autorità delegata, l'onorevole Minniti, quando lo audirete – aprì un fascicolo sul caso in questione. Lo fece la Procura di Roma con il procuratore Pignatone – con un'opportuna scelta, secondo me – prima di altre procure. Però che sia la Procura di Roma a dover sempre indagare su questi fatti che accadono all'estero è previsto soltanto da una precisa norma che abbiamo presentato nelle settimane successive all'attenzione del Parlamento, e lo ricorderanno i colleghi che facevano parte della scorsa legislatura. La prima cosa che noi abbiamo detto al governo egiziano è che volevamo che i nostri magistrati potessero indagare e che loro avrebbero dovuto darci cooperazione giudiziaria. Non era scontato. Voglio ringraziare il dottor Pignatone e voglio ringraziare il dottor Prestipino e il dottor Colaiocco, titolare del fascicolo – entrambi venuti qui in audizione – perché hanno fatto un lavoro straordinario che dimostra che l'Italia non fa sconti a nessuno. L'Egitto ha fatto fatica ad accettare questa cooperazione internazionale, ma l'ha accettata in ragione della nostra particolare partnership. Noi siamo una democrazia liberale e abbiamo detto a chi democrazia liberale non è che era accaduto un fatto enorme che ci riguardava e che noi volevamo i nostri magistrati. So che è stato oggetto di discussione il fatto che io personalmente abbia chiesto al presidente al-Sisi di accettare di rispondere a delle domande di un giornale indipendente italiano. Sì, l'ho chiesto io. La scelta è caduta, nell'ambito delle consultazioni tra di loro, sul quotidiano la Repubblica che più di altri aveva combattuto una battaglia per la verità. Non più di altri, non voglio fare classifiche perché altrimenti mancherei di rispetto verso gli altri: aveva espresso una particolare sensibilità, diciamo che la Repubblica aveva particolarmente colto questo argomento e noi abbiamo preteso che fosse il presidente al-Sisi a rispondere alle domande. La Repubblica scelse di non mandare un giornalista – con tutto il rispetto per i giornalisti – ma il suo direttore. Perché dico questo in sede parlamentare, signor presidente? Perché vorrei che restasse agli atti che per quello che riguarda il nostro stile di governo – ognuno ne ha uno diverso e proprio – se tu sei una democrazia liberale e hai una situazione come questa, mandi i giudici e la stampa, oltre alla risposta istituzionale. Una democrazia liberale fa così. Io non sono uno che ha mai mancato di fare anche discussioni polemiche e accese con amici o non amici della stampa, non mi sono certo mai riguardato dal sottolineare, in alcuni casi, sconfinamenti di campo da parte della magistratura. Non sono uno che viene qua a farvi un racconto edulcorato, vi sto dicendo quello che penso veramente: nonostante tutto la stampa e la giustizia sono due cardini della democrazia liberale, al pari delle istituzioni. Dobbiamo essere fieri del fatto che l'Italia di allora abbia deciso di rispondere con le istituzioni che vanno d'accordo e dicono la stessa cosa, e con la Procura di Roma che fa un lavoro straordinario. Bisogna tirare giù il cappello per il lavoro della Procura di Roma, che è meravigliosamente importante, e per quello che ha fatto la stampa italiana, che è garanzia di libertà e di democrazia. È chiaro? Questo è il punto per cui vi dico che secondo me abbiamo fatto quello che dovevamo fare. Abbiamo mandato i giornalisti, abbiamo mandato i giudici, abbiamo mandato le istituzioni. Si fa così quando c'è un episodio del genere.
C'è una cosa che ha già detto il dottor Colaiocco nella sua relazione, che è stata perfetta a mio giudizio. Mi permetto solo di dire che il dottor Colaiocco ha fatto un piccolo errore temporale, nel senso che egli fa riferimento a un mio intervento molto duro con Theresa May, e ha ragione. Egli lo colloca nel 2017, ma io non ero più in carica. Questo evento si colloca nell'estate del 2016, ma cambia poco rispetto alla sostanza. Nell'ambito del primo incontro con il nuovo primo ministro Theresa May che si è svolto a Villa Doria Pamphili, io sono andato giù piatto con il primo ministro inglese perché secondo me c'è un punto che non è stato chiarito, vale a dire il ruolo del nostro Paese amico, il Regno Unito, che su questa storia non ha chiarito fino in fondo. Mi limito a dire questo perché credo che questo sia il mio compito. È evidente agli onorevoli commissari che c'è qualcosa che non torna nella professoressa che decide di non rispondere. Se noi chiediamo al presidente al-Sisi di rispondere alle domande dei giornalisti italiani liberi e indipendenti, potremmo ben chiedere a una professoressa universitaria inglese di dare risposte per la morte tragica e atroce di un ragazzo. Siamo al paradosso che il presidente al-Sisi risponde alle domande del giornalista – poi naturalmente ciascuno può fare le proprie valutazioni sul tipo di risposte, ma comunque accetta di rispondere alle domande – e abbiamo una professoressa che decide di non rispondere. Io la trovo una cosa inaccettabile per gli standard della democrazia liberale, che sono quelli che a me interessano e per i quali ho combattuto.
Ho finito la ricostruzione, signor presidente. Devo solo evidenziare due punti ulteriori. Il primo: non credo che questo sia mai emerso, forse è uscito sui giornali o forse no, ma per dovere d'informazione credo di dovervi dare tutte le informazioni che riguardano il sottoscritto finché a dicembre 2016 ho lasciato al presidente Gentiloni l'incarico di guidare il governo. Io ho incontrato il presidente al-Sisi nel settembre 2016 a Hangzhou durante il G20 ed è stato un incontro informale che però io avevo fortemente voluto. È stato un incontro a margine di una cena di stato offerta dal presidente Xi Jinping. Era il nostro primo incontro dopo un lungo rapporto che si era concretizzato in due visite mie al Cairo e una a Sharm el- Sheikh, una sua visita a Roma e degli incontri internazionali. Nei miei due anni di governo precedenti avevo avuto una certa consuetudine con il presidente al-Sisi, da gennaio ci eravamo sentiti con telefonate anche difficili, ma non ci eravamo più visti. Ho sempre detto in tutte le sedi istituzionali e anche mediatiche, perfino in TV arabe non storicamente vicine alla leadership egiziana, che per me al-Sisi era un pilastro nella lotta al terrorismo internazionale. Allo stesso modo ho avvertito il dovere di comunicargli tutto il mio dolore per ciò che era avvenuto dal punto di vista personale e anche le mie scelte, le mie preoccupazioni e le mie richieste come capo pro tempore del Governo italiano. Questo avvenne a Hangzhou nel settembre del 2020; non ricordo il giorno, ma lo troviamo facilmente perché avvenne nel weekend successivo al G20. Ho detto che era il 2020? Chiedo scusa, era il 2016, grazie onorevole Ungaro.
Il secondo punto riguarda una valutazione che faccio io e non so nemmeno se questa sia la sede opportuna. Quando tu sei il Presidente del Consiglio, funziona avere una squadra più larga di quella che solitamente si immagina necessaria. In altri termini – lo dico fuori di metafora – io penso che sia importante avere un'Autorità delegata. È una scelta che i miei successori hanno deciso di non fare: tanto l'onorevole Gentiloni quanto il professor Conte hanno scelto di non avere un'Autorità delegata. È una valutazione del tutto rispettabile, la legge non impone di averla. Come voi sapete io ho scelto nell'Autorità delegata una figura molto diversa da me. Trovo che in questi casi serva avere una squadra che non è soltanto incentrata su singole persone, ma una squadra ben più ampia di quella di Palazzo Chigi soltanto. In altri termini, nella gestione – anche giocando con talune differenze tra la Farnesina, l'intelligence e altri settori dell'amministrazione statale – per me è importante che ci sia un'Autorità delegata perché aiuta in passaggi come questi.
Così come credo – e ho finito davvero, signor presidente – che la scelta che noi abbiamo fatto, e che io ho voluto, di ritirare l'ambasciatore, sia una scelta che va collocata. Ho visto che si è aperto un dibattito su questo. Io ho scelto di ritirare l'ambasciatore. L'ho chiesto al Ministro degli esteri che naturalmente ha condiviso questa valutazione. Abbiamo scelto di ritirarlo e lo abbiamo comunicato nelle sedi istituzionali. Perché questo? Allora avemmo la sensazione che il presidente al-Sisi – con il quale ho avuto modo di dirvi quale fosse il rapporto – non avesse colto fino in fondo la nostra risolutezza nel chiedere la verità. La scelta di ritirare l'ambasciatore è un gesto estremo che si fa per dire: «Guarda, noi facciamo terribilmente sul serio». So che c'è una discussione in corso anche adesso. Mi permetto di dire una cosa, ma è una valutazione che in questo caso trascende il mio ruolo di ex Presidente del Consiglio, è soltanto un contributo di esperienza. Adesso io sono un parlamentare esattamente come voi, non ho alcun ruolo istituzionale diverso dal vostro e quindi la mia opinione conta quanto la vostra. Credo, tuttavia, che in una fase come questa se io fossi il Presidente del Consiglio, non ritirerei l'ambasciatore perché è un gesto che si fa una volta e deve produrre delle conseguenze. Nominerei piuttosto un inviato speciale del Presidente del Consiglio per fare una e una sola cosa: fare sì che il regime di al-Sisi consenta di processare i responsabili che la Procura di Roma individua. Qui c'è un fatto straordinario. Grazie a quella cooperazione giudiziaria – che non è quella che avremmo voluto, ma che è decisamente superiore a quella che avremmo anche soltanto lontanamente potuto immaginare, se non vi fosse stato questo rapporto – come si legge da fonti aperte, la Procura di Roma è nelle condizioni di andare a concludere il proprio lavoro.
All'Egitto va chiesto di processare le persone che la Procura di Roma ha individuato. Per farlo, a mio giudizio, non serve interrompere le relazioni diplomatiche, serve, al contrario, avere un di più di quel rapporto politico, istituzionale e diplomatico che permetta all'Egitto di giocare un ruolo importante nell'individuazione delle persone. Su questa storia drammatica di Giulio Regeni chi non ha ancora detto la verità dovrà farlo, sia esso in Egitto sia esso nel Regno Unito.
PRESIDENTE. Grazie, senatore Renzi. Invito i colleghi commissari a intervenire per formulare quesiti, osservazioni, domande di chiarimenti. Eventuali richieste di intervenire in forma segreta potranno essere concentrate dopo avere esaurito gli interventi in forma pubblica. Do la parola al collega Pettarin.
GUIDO GERMANO PETTARIN. Grazie, presidente. Intendo formulare alcune domande. Naturalmente mi rimetto alla sua valutazione e a quella del presidente per individuare se sia opportuno rispondere in questa sede ovvero chiedere la seduta segreta. C'è un punto che lei ha sottolineato più e più volte e che io ritengo estremamente importante, il 31 gennaio. Lei e il Governo veniste informati di quanto era accaduto il 31 gennaio e così – come lei ha ripetuto più volte e io credo che questo sia importante – se si fosse saputo prima, anche se la storia naturalmente non si fa con i se e con i ma, sarebbe stato meglio e si sarebbe forse potuto fare qualcosa in più. La domanda è: perché non lo abbiamo saputo prima? Cosa ha impedito al Governo, a lei, al nostro sistema, alla nostra intelligence di saperlo prima e, naturalmente, domanda particolarmente difficile, perché non l'abbiamo saputo prima?
Altro dato: la risolutezza è essenziale. È essenziale la coscienza della risolutezza e il convincere tutti – e soprattutto coloro che in Egitto in questo momento hanno in mano le leve di questa situazione – che l'Italia continua assolutamente a essere risoluta. Sono molto d'accordo sul fatto che l'interruzione dei rapporti diplomatici si fa una volta perché se si facesse due volte perderebbe di senso, di contenuto, di significato e di sottolineatura di quello che è il motivo per cui si fa questo tipo di azione, ma le domando: riprendere «normalmente» il commercio delle armi, sia leggere sia pesanti, può essere un indice di risolutezza? Risolvo in maniera paradossale: cedere all'Egitto delle fregate come le FREMM è un indice di risolutezza? Non è più facile individuare questa situazione come un indice di rassegnazione? Siamo rassegnati a che non si addivenga mai alla verità e siamo rassegnati al fatto di proseguire in un ambito e in un'atmosfera di normalità i rapporti con l'Egitto.
Un'ultima domanda che fa riferimento al quadro che lei ci ha dato di quelli che erano i rapporti che l'Italia aveva con l'Egitto in quel periodo storico. È evidente – e io la ringrazio moltissimo per questo – che non si può giudicare con il senno di poi fatti accaduti all'epoca, se non si hanno il coraggio, la determinatezza e la chiarezza di contestualizzare ciò che accadde. In quella contestualizzazione quali furono gli affidavit, le risposte, le comunicazioni, le assicurazioni che lei ricevette dal governo egiziano, in modo particolare da al-Sisi che fino a quel momento era un soggetto che aveva un rapporto particolare con la nostra nazione? Naturalmente, a fronte di ciò che è accaduto, questo rapporto particolare è andato scemando con le evoluzioni che tutti conosciamo.
Successivamente al 3 febbraio lei ha già evidenziato che le occasioni di incontro si sono diradate moltissimo, anche se vi sono stati contatti telefonici e solamente a Hangzhou nel settembre 2016 lei ebbe modo di riparlare di persona con al-Sisi. Quale fu – se naturalmente questo è un dato che lei è in grado di apprezzare – il tipo di reazione che riscontrò nel presidente al-Sisi? Di decisione, di comprensione della nostra risolutezza, di imbarazzo, di volontà di aiutare il sistema processuale che noi avevamo messo in piedi?
Infine, le chiedo una valutazione su un ultimo dato. Lei ritiene che nel mondo del 2020 – ben diverso dal mondo del 2016 – di fronte a un'affermazione di risolutezza, l'Egitto, con il quadro che nel Medio Oriente in questo momento abbiamo, possa effettivamente rispettare la ricerca assoluta e la volontà assoluta di verità e giustizia che tutti noi e l'Italia hanno per quanto riguarda la vicenda di Giulio? Grazie, presidente, per la sua relazione e la sua disponibilità.
PRESIDENTE. Raccogliamo a gruppi di tre le domande. Si era iscritta a parlare l'onorevole Sportiello, prego.
GILDA SPORTIELLO. Grazie, presidente. Ringrazio il senatore Renzi per l'audizione di stamattina. Da quando faccio parte di questa Commissione, ascoltando le varie audizioni, davvero non riesco a capire e a venire a capo di una cosa e stamattina con la sua audizione i miei dubbi sono aumentati, quindi farò questa domanda anche a lei.
In un momento in cui rapporti con questo Paese erano assolutamente privilegiati, c'era una grande collaborazione e si stava instaurando un rapporto importante, come si spiega il fatto che a un certo punto tutto precipita e avviene un rapimento talmente brutale come quello di Giulio? Soprattutto quello che davvero mi stupisce è che mentre si alza l'attenzione pubblica su questa vicenda e mentre le autorità italiane cercano Giulio durante la sua scomparsa, Giulio era ancora vivo e detenuto nelle carceri egiziane. Com'è possibile che un Paese con cui l'Italia sta instaurando dei rapporti importanti possa agire in questo modo? Io credo che lei sicuramente abbia una visione più completa della nostra e quindi le chiedo come si spiega che le cose siano precipitate in maniera così brutale e drammatica.
Soprattutto le chiedo anche dei chiarimenti, come ha già fatto l'onorevole Pettarin, rispetto alla tempistica. Lei ha saputo il 31 gennaio e questa cosa già ci desta qualche domanda. Vorrei sapere da chi è stato informato e dal 31 gennaio al 3 febbraio quali iniziative siano state poste in atto per rimediare anche al ritardo con cui si è venuto a sapere della situazione. Il prosieguo di quello che è successo rende ancora più oscuro tutto questo. Dopo il rapimento di Giulio i rapporti precipitano in una maniera così drammatica, tra l'altro mentre una delegazione italiana è presente in Egitto con la Ministra Guidi. Si tratta di una situazione del tutto eccezionale e successivamente l'Italia dichiara, tramite lei, che non avrebbe accettato verità di comodo. Il 24 marzo addirittura vengono uccisi degli innocenti – quelli che poi abbiamo saputo essere degli innocenti – per costruire una verità assolutamente fittizia e operare un tentativo di depistaggio a tutti gli effetti.
Le chiedo davvero che cosa non ha funzionato, perché la situazione con un Paese che si considerava privilegiato in termini di costruzione di alcuni rapporti sia precipitata in maniera così drammatica in un momento così delicato e di chiarire per favore da chi ha saputo della sparizione e della morte di Giulio e cosa è successo tra il 31 gennaio e il 3 febbraio. Grazie.
PRESIDENTE. Do la parola alla collega Tripodi.
MARIA TRIPODI. Grazie, presidente. Senatore, la ringrazio anch'io per la disponibilità che ha dato nel collaborare con la Commissione. Lei ha evidenziato quelli che io reputo i primi risultati che ci sono stati con il suo governo, sia per quanto riguarda i rapporti che lei ha definito ottimi con l'Egitto, sia per quanto riguarda anche i risultati come il ritiro dell'ambasciatore e la risolutezza che il suo Governo ha impiegato, cose per carità apprezzabili, ma lei capisce che questa Commissione ha la funzione di arrivare alla verità. Lei ha fatto anche delle considerazioni sulla cooperazione giudiziaria, molto importante, e secondo me primo pilastro per arrivare alla verità su questa tragica morte.
Quando iniziò questa cooperazione giudiziaria, non si è valutato, quando lei era a Palazzo Chigi, di battere, su canali diversi, multipli, anche la pista inglese e non solo la pista egiziana? Con tutte le problematiche che sono inevitabilmente emerse con l'Egitto, forse la pista inglese, a mio giudizio, è stata particolarmente trascurata e spero che invece venga presto considerata. La ringrazio.
PRESIDENTE. Data la mole delle domande, darei la parola al senatore Renzi per rispondere a questa prima tornata, poi darò la parola agli altri colleghi che si sono iscritti.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Grazie, presidente. Ringrazio il deputato e le deputate che hanno formulato le domande.
Perché il 31 gennaio, chiede l'onorevole Pettarin. Ha risposto in questa sede l'ambasciatore Massari, perlomeno nella parte che io ho visto, nella parte pubblica. Noi abbiamo ricevuto l'informazione il 31 gennaio e ci siamo mossi immediatamente come nostro dovere. Non entro nelle dinamiche interne di come vengono gestite queste notizie che in questi Paesi sono spesso molto diversificate. Sono più frequenti alcune sparizioni, poi magari si tratta soltanto di un problema di comunicazione. In questo caso, da quanto egli dichiara, l'ambasciatore Massari apprende la notizia qualche ora dopo un mancato appuntamento tra Giulio Regeni e la persona con cui doveva cenare, in quel giorno così complicato quale era il 25 gennaio 2016. È anche vero dall'altro lato che magari negli uffici c'è una qualche prudenza nell'informare il Presidente del Consiglio. Non le so dire, io so una cosa, e rispondo alla domanda dell'onorevole Sportiello chiedendo scusa all'onorevole Pettarin – poi torno alle sue domande: l'informazione mi arriva direttamente dall'ambasciatore Massari che aveva il mio cellulare, poi naturalmente prendo immediatamente contatto con il Ministro degli affari esteri e con l'Autorità delegata. Questi sono stati i miei primi passi perché loro erano i due riferimenti dei nostri rapporti con l'Egitto.
Ricevo la notizia dall'ambasciatore e poi procedo a comunicarla. Questo accade il 31. Non tocca a me motivare le ragioni per le quali si è deciso di chiamare il Presidente del Consiglio, io posso parlare di quello che ho fatto dal 31 in poi.
L'onorevole Pettarin, di cui non mi permetto di giudicare la domanda, fa un'ottima riflessione su come gestire le relazioni diplomatiche. Onorevole, qui entriamo nel campo delle mie valutazioni personali. Signor presidente, si tratta di una valutazione politica, non fattuale. Sulla fattualità del 31 gennaio ho risposto, mentre preciso all'onorevole Sportiello – così tolgo anche questo punto dal campo – che ho detto, quando lei stava arrivando, che io non intendo riferire su tutta la parte di ricostruzione dei fatti perché prendo per buono quello che hanno detto l'onorevole Gentiloni e l'ambasciatrice Belloni. Non ho bisogno di raccontare di nuovo i fatti perché condivido totalmente quello che è stato detto. Quello che abbiamo fatto dal 31 gennaio al 3 febbraio, quello che è stato fatto nei vari passaggi è agli atti di questa Commissione nelle parole dell'onorevole Ministro Gentiloni che, ripeto, secondo me è stato puntuale e anche dell'ambasciatrice Belloni che è stata altrettanto puntuale.
La mia valutazione è che c'è una sensibilità maggiore sul tema delle armi per ovvi motivi perché il tema degli armamenti è un tema che immediatamente suscita attenzione. L'onorevole Quartapelle ricorderà, nella sua veste di deputata della scorsa legislatura, come questa fu anche una delle iniziative della legislatura di allora. Credo che questo sia agli atti dei lavori parlamentari della scorsa legislatura oltre che di quelli della Commissione.
Sul tema degli armamenti c'è una sensibilità maggiore, ma se devo essere intellettualmente onesto con voi, e lo sono ben volentieri, la vera questione non è a mio giudizio lo scambio di armamenti con l'Egitto. La vera questione è che nel biennio in cui io sono stato alla Presidenza accade un fatto enorme – non certo per merito del Governo, ma per merito dell'ENI – che è destinato a cambiare la storia energetica dell'Egitto. La nostra relazione con l'Egitto nasce da una comune visione contro il terrorismo islamico e contro il Daesh. Al-Sisi si colloca dentro un asse che vede essenzialmente emiratini e sauditi – il mondo internazionale, diplomatico e geopolitico – stare dalla parte di quelli che contrastano l'avanzata dei Fratelli musulmani. Quest'asse è per noi un partner cruciale. Prima di ragionare degli interessi economici, perlomeno per quello che riguarda la mia esperienza di governo, ho sempre pensato che il primo tema fosse la sicurezza nazionale. La sicurezza nazionale imponeva di combattere il terrorismo internazionale e sarebbe molto interessante discutere di tutto quello che è successo. Io non vorrei allargare il campo d'azione della vostra Commissione. Non mi permetterei mai, signor presidente, e mi blocchi se lo sto facendo. Però in quegli anni accadono tanti fattori.
Oggi noi raccontiamo la cooperazione internazionale contro il terrorismo islamico con l'occhio di chi ha visto la fine del film, ma allora era una storia diversa. Io non ricordo in che giorno ci fossero state le elezioni europee del 2014 che per noi andarono bene e quindi eravamo molto contenti. Il giorno dopo era un lunedì, 26 o 27 maggio. Il 24 maggio, avevo dimenticato quel giorno. Il giorno dopo – lo ricorderà una volta di più l'onorevole Serracchiani perché era con me per il suo ruolo politico e istituzionale – tutti i giornali parlavano dell'esito delle elezioni e segnatamente avevamo una grande attenzione mediatica per come erano andate quelle elezioni che avevano visto un risultato importante del partito che allora guidavo. Eppure ho passato quel giorno – a parte una breve conferenza stampa a Palazzo Chigi – dietro a una vicenda molto complicata, quella del rapimento di un nostro connazionale. Se il presidente non me lo chiede, evito di dirne il nome, per rispetto alla persona che è stata poi riportata a casa esattamente il giorno dopo le elezioni. Lo dico perché ricordo la telefonata alla madre. Tutte le volte che racconto questo fatto mi vengono i brividi, mi sta accadendo anche adesso, per l'urlo di quella donna che finalmente sa che il figlio, dopo mesi di grandissime difficoltà è finalmente nelle mani italiane, su un aereo italiano e sta ritornando. Io la chiamo quando l'intelligence mi ha detto che erano decollati, perché fino a quel momento non voglio chiamare nessuno e ovviamente nessuno sa niente, se non i collaboratori dell'intelligence. Poi alzo il telefono e dico: «Signora, la stiamo venendo a prendere per portarla a Ciampino, lei riabbraccerà suo figlio tra otto ore». Quella vicenda poi apre tutta una serie di problemi. Il protocollo italiano sulla gestione dei rapiti è diverso da quello inglese, David Cameron si lamentò con me di quella scelta che facemmo di riportare a casa quella persona. Come potete immaginare, quando si riporta a casa un rapito, nel mio stile io non vado a Ciampino a prenderlo, rispetto agli stili degli altri Presidenti del Consiglio. Io faccio una cosa diversa.
Il punto è che quella vicenda segna l'inizio della lotta internazionale, perché da quella testimonianza noi andiamo – in questo caso con la collaborazione dell'MI6 e delle agenzie americane – a capire chi è Jihadi John, perché era lui che aveva in mano questo ragazzo italiano. Siamo nel maggio del 2014. Tre giorni prima del Bataclan, Jihadi John viene ucciso. Jihadi John era un ragazzo cresciuto nelle scuole inglesi. La sua morte passa in secondo piano, perché avviene qualche ora prima del Bataclan, quindi la eco del Bataclan è decisamente superiore a quella della morte di Jihadi John, ma in quei mesi Jihadi John era il terrore numero uno. Noi non ce lo ricordiamo più perché la memoria scorre veloce – scusate se faccio una riflessione personale, sociologica. Però non ci ricordiamo più quali erano le immagini dei TG di allora con le tute arancioni e il killer che sgozzava le persone, prima con una rivendicazione, poi con un atto infame. Molte delle persone uccise in quel modo erano compagne di cella del nostro connazionale.
Perché ho detto questo e ho allargato il ragionamento? Il terrorismo internazionale per noi era il vero nemico di quella stagione. Ho detto di Mosul nel giugno. Quindici giorni dopo il salvataggio di questo nostro ragazzo, arriva la crisi a Mosul dell'esercito iracheno o presunto tale, perché si squaglia lasciando interi territori in mano al sedicente Stato islamico. Gli attentati internazionali crescono, il 7 gennaio del 2015 Charlie Hebdo. L'11 gennaio c'è la grande manifestazione di tutti i leader mondiali a Parigi per dire: «Noi siamo Charlie Hebdo», la Marsigliese che risuona. Tutto il 2015 è segnato dagli attentati. Nel novembre 2015 il Bataclan, risposta dell'Unione Europea e del Governo italiano che dice: «Un euro in cultura, un euro in sicurezza.». Ricorderete come quel tipo di profilo fosse l'argomento fondamentale. Tutto questo per dire che in quel momento la centralità non erano gli interessi degli armamenti, ma la sicurezza.
In quell'anno però accade un fatto enorme. Dagli uffici di San Donato Milanese, più che dal Mar Mediterraneo, i bravissimi ricercatori dell'ENI – che sono un'eccellenza di questo Paese – trovano uno dei più straordinari giacimenti che permettono all'Egitto di essere libero per 30-40 anni e avere un'autosufficienza energetica incredibile. Io ricordo la commozione di al-Sisi quando parlammo di questo. La comunicazione ufficiale ovviamente passa dall'ENI, non dal sottoscritto. Ma nel giro di qualche ora mettiamo in piedi una telefonata. Ovviamente, stiamo parlando di prima della tragica vicenda di Regeni, stiamo parlando di una delle partnership di cui vi avevo parlato. È un fatto enorme. Ricordo ancora che in quei mesi, quando uscì la notizia, io ero in un bilaterale a Firenze con il primo ministro israeliano, Bibi Netanyahu, che fu quasi messo, in prima battuta, fuorigioco da questa operazione. Avevano un importante investimento in Israele e non posso riportare la sua reazione amicale. Quando a Firenze, a Palazzo Vecchio gli dico: «L'ENI ha trovato una roba in Egitto che è grande dieci volte la vostra», la sua reazione non è entusiasta. Il primo ministro israeliano – e l'abbiamo visto anche in queste ore da notizie importantissime che sono passate in secondo piano, circa il suo incontro con il leader saudita MBS, Mohammed bin Salman – ha sempre avuto una particolare capacità di dialogo con questa parte, con gli egiziani e gli emiratini. Abbiamo visto che finalmente qualche settimana fa gli Emirati e il Bahrein hanno firmato con Israele quello che secondo me è un accordo straordinario, l'unica vera grande eredità della Presidenza Trump.
La faccio breve. Il punto è che questo era l'argomento. Onorevole Pettarin, per me più che gli armamenti, la discussione era che in quel momento noi avevamo un ruolo pazzesco. Piaccia o no, c'era un governo abbastanza forte nella dinamica internazionale, un governo che aveva la propria partnership privilegiata con gli Stati Uniti d'America e con la presidenza Obama-Biden, tanto è vero che Obama l'ultimo state dinner lo organizza per noi. Però contemporaneamente giocava un ruolo per cui, per esempio, fece scalpore che la prima visita di al-Sisi nel 2014 fu in Italia e non in Francia. Hollande recuperò andando come ospite d'onore all'inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez. Ma la prima visita ufficiale di al-Sisi nel 2014 – quindi molto prima della vicenda Regeni – è in Italia.
Tutto questo per dirle che io penso che vada perseguita la strada del dialogo con l'Egitto, con le condizioni di una democrazia liberale. Noi portiamo la stampa, noi portiamo i magistrati, noi portiamo le istituzioni. Ma va fatto – mi permetto di dirlo senza alcuna valutazione che possa suonare critica – in modo coordinato. Se va il Ministro degli esteri, va solo lui, non è come accaduto con il primo Governo Conte che una volta ci andava il Ministro dell'interno, un'altra il Ministro degli esteri, una volta il Presidente della Camera, un'altra il Presidente del Consiglio. Ci si va con uno stile, se ci va il Ministro degli esteri, ci va a nome di tutti, se ci va il Presidente del Consiglio, ci va, a maggior ragione, a nome di tutti. Se ci va l'Autorità delegata per la sicurezza nazionale, ci va a nome di tutti o magari ci va due volte, perché l'Autorità delegata qualche volta ci va anche di nascosto, come è giusto che sia. Però questo è il punto fondamentale, vorrei essere chiaro. Un Paese serio gestisce questa dinamica dal punto di vista geopolitico, sapendo che siamo in una complicatissima pagina della storia e del mondo.
Quali affidavit mi dà al-Sisi? Così rispondo anche alle considerazioni di quale è stata la reazione del presidente al-Sisi. Io devo essere molto chiaro, è evidente che c'è una responsabilità egiziana palese. Nessuno di noi può capire chi è il responsabile. L'onorevole Sportiello dice una cosa molto esplicita, io mi permetto di metterla in modo più diplomatico. Nel terzo punto lei ha detto: «Il 24 marzo vengono uccisi degli innocenti.» Io non sono in grado di capire le dinamiche di quella vicenda e non giudico, perché riguarda uno Stato straniero. Ma quando qualcuno mi dice che abbiamo preso i killer di Regeni, io rispondo che forse non ci siamo capiti. Noi vogliamo la verità, non abbiamo bisogno di cinque cadaveri, noi vogliamo la verità. Lei esprime un'opinione che, ovviamente, capisco, ma che io non ho mai espresso, nel senso che quello è un episodio che una parte dell'opinione, chiamiamola così, pubblica collega alla vicenda Regeni, perché c'erano certi oggetti. Io sono chiarissimo, la mattina stessa nel parlare con i miei interlocutori – e altrettanto fa il Ministro degli esteri e l'Autorità delegata – nel dire che con Regeni questa vicenda non c'entra niente. Noi non abbiamo accettato verità di comodo.
Perché accade questo e quest'altro? È molto complicato. Lei fa una domanda che riguarda più le impressioni, le sensazioni. Se lei chiede la mia impressione per tutto quello che ho raccontato sui rapporti internazionali, sull'Oil & Gas, sulla lotta al terrorismo internazionale, io sono assolutamente certo, ma è una mia impressione – lei può pensarla in modo diverso, io la rispetterei nel caso – che la leadership egiziana, quando capisce cosa sta accadendo, immediatamente cerca di intervenire.
È evidente che c'è qualcosa che non torna prima, è evidente che c'è una responsabilità egiziana nell'uccisione di Giulio Regeni, punto. Ma tutto quello che è stato peraltro molto opportunamente ricordato in questi lavori della Commissione – ciò che accade nelle settimane precedenti, la scelta di chiamarlo il 25 gennaio, le reticenze inglesi – è qualcosa sul quale io non ho diritto di parola. Posso avere i dubbi da cittadino come li ha lei, posso avere una mia impressione, posso dire però che mi fido dei magistrati italiani perché i magistrati italiani sono bravi, perché sono quelli che sono andati a fare un'operazione seria e hanno chiesto cooperazione giudiziaria che ciascuno di voi potrà dire che non è all'altezza di quella che aspettavamo. Signori, è decisamente superiore.
PRESIDENTE. Senatore, la pregherei di concludere perché ci sono altre domande.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Finisco l'ultimo punto.
PRESIDENTE. Molti di noi saranno impegnati in Assemblea per la discussione della proposta di proroga di questa Commissione.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Non voglio prendervi per sfinimento, voglio solo finire di rispondere sugli affidavit di al-Sisi. Poi, se vorrete, procederemo in modo informale, per le vie brevi.
Noi avevamo immaginato di fare dell'Egitto uno dei Paesi chiave del G7 del 2017. Lei sa che quando c'è un G7 o un G20, si ospitano dei Paesi. Nel 2015 la mia idea era quella di fare dell'Egitto un punto di riferimento, cosa che farà Xi Jinping invitando al-Sisi a Hangzhou. Ho dunque risposto all'onorevole Sportiello sulle iniziative e sul 24 marzo.
Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Tripodi sulla cooperazione giudiziaria e la pista inglese, tocca ai giudici decidere. Se ho capito la sua domanda, penso di essere in sintonia con il suo pensiero. Però con la stessa chiarezza le dico che quello che può fare un Presidente del Consiglio è chiedere al Primo Ministro inglese di dire la verità e di aiutarci nella cooperazione. Io l'ho fatto e sono grato al dottor Colaiocco di averlo ribadito di fronte a voi, perché il giorno dopo dal Governo inglese è arrivata un'attenzione diversa. Non altrettanto si può dire da una determinata cattedra universitaria inglese.
PRESIDENTE. Grazie. Do la parola al vicepresidente Trancassini.
PAOLO TRANCASSINI. Grazie, presidente Renzi per la sua disponibilità. Io torno sulle considerazioni che lei ha fatto rispetto al suo Governo, anche con dovizia di particolari. Lei ha detto che la risposta dell'Italia fu molto forte e ha sottolineato più volte la capacità di lavorare come squadra. Non credo che questo sia un passaggio banale che lei ha fatto. Si ha quasi la sensazione – per la verità in quest'ultimo suo intervento lo ha ribadito – che faccia anche un po' un distinguo rispetto a quello che è accaduto successivamente. Senza tornare su cose che sono già state dette, alle quali lei ha risposto e indipendentemente dalla questione delle armi, mi sembra di capire che c'è una prima fase nella quale lei parla con al-Sisi, collabora con lui, lo considera un partner ideale. Poi gli parla anche successivamente, anche se non è entrato nel merito di quelle che sono state le risposte di al-Sisi, però ci ha detto qualcosa di più rispetto a quello che ha fatto il Presidente Conte, che è venuto qui e ci ha detto che ha parlato tante volte con al-Sisi, ma non ha mai detto quello che gli ha risposto. Dobbiamo presumere che le risposte di al-Sisi, se hanno generato il ritiro dell'ambasciatore, evidentemente non sono state ritenute esaustive.
La domanda è questa. La ripresa degli accordi commerciali non è stata comunque un'occasione persa? Alla fine è stata letta – rispetto alla vicenda Regeni – un po' come una resa, perché non ha sortito nessun effetto in più, ma soprattutto il suo passaggio sul Governo Conte, il fatto di decidere chi mandare, se il Presidente del Consiglio o altri, questo balbettio. Io volevo una sua considerazione in relazione alla istituzione di questa Commissione. Mentre il Governo Conte da una parte non coglie l'occasione della ripresa degli accordi commerciali e ha un approccio, che a suo dire, non è proprio quello finalizzato a stabilire una corsia preferenziale, la Camera dei deputati istituisce una Commissione d'inchiesta. Volevo una sua valutazione, se sono due fatti che tra di loro stanno insieme o che invece si contraddicono.
Un ultimo passaggio riguarda il fatto che sia inaccettabile il comportamento della professoressa, e tutti noi lo riteniamo così. Però al di là dell'episodio che lei racconta – non ricordo in quale occasione, credo italiana – in cui lei ha rappresentato questo disagio nei confronti del governo inglese, volevo sapere se c'era dell'altro, perché su questo oggi in Commissione non abbiamo registrato nessuna chiara, ferma e decisa presa di posizione di tutti i soggetti che in qualche modo si sono occupati di questa vicenda a vario titolo.
PRESIDENTE. Grazie, collega Trancassini. La collega Quartapelle, prego.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio il presidente Renzi per la relazione, con una serie di spunti sulle questioni geopolitiche. Vorrei fare una domanda che si può porre solo a lei.
È vero, lei ha tracciato bene la profondità della ripresa delle relazioni tra il 2014 e 2015 tra Italia e Egitto, ma sappiamo quanto sia importante il rapporto personale tra capi di governo e capi di stato e in particolare lei in quegli anni si era fatto carico personalmente della ripresa di questi rapporti, ce ne ha spiegato le ragioni. Lei è stato il primo ad accogliere, per la prima tappa europea, al-Sisi nel 2014. È stato l'unico leader del G7 nel 2015 a essere presente a Sharm el Sheikh. Nel luglio del 2015 – lo ricordava bene prima – ad Al Jazeera ha parlato in termini molto chiari della valutazione che dava del presidente al-Sisi. C'era un rapporto personale importante e un rapporto politico e istituzionale al più alto livello. Siamo stati i primi, in tante occasioni, a riaprire le porte a un leader che per alcuni mesi era stato isolato dalla comunità internazionale. Noi oggi ragioniamo come se al-Sisi fosse sempre lì, in realtà è arrivato al potere nel 2013, dopo un colpo di Stato in piazza Tahrir, che ha deposto con l'esercito un presidente eletto, molto inefficace, ma eletto.
La domanda è semplice. Perché nonostante queste ottime relazioni che noi come Paese abbiamo nutrito, l'Egitto, e al-Sisi in particolare, non hanno dimostrato nessuna volontà di collaborare? Questo è il punto. Io credo che in questi mesi di lavoro la Commissione si sia fatta un'idea di tutto quello che è stato fatto, di quello che non è stato fatto, di quello che si potrebbe fare meglio e di più. Poi ci sono opinioni politiche diverse, lei ha spiegato anche la sua opinione sul richiamo dell'ambasciatore allora e oggi. Ma la domanda resta – la faceva prima anche la collega Sportiello – perché nonostante noi fossimo in una posizione chiaramente di forza, l'Egitto non ha cercato di sistemare la questione aprendo a una minima collaborazione? Noi questa minima collaborazione non l'abbiamo vista. Questa è la prima domanda.
La seconda domanda. Lei ha spiegato bene perché è stato richiamato l'ambasciatore nella primavera del 2016. Però io vorrei una valutazione più specifica su quale tipo di leva è stato quel richiamo dell'ambasciatore. Noi sappiamo – lo hanno spiegato bene l'onorevole Gentiloni e l'onorevole Alfano – che nel periodo del richiamo dell'ambasciatore sono stati fatti passi avanti più seri dal punto di vista della cooperazione giudiziaria. Poi anch'io ho una valutazione diversa rispetto al richiamo dell'ambasciatore in questo momento. Chiedo dunque una sua valutazione su questo punto.
Terza questione. Lei era Presidente del Consiglio in una situazione drammatica. Quali azioni ha intrapreso lei personalmente per favorire e ottenere la solidarietà degli altri Paesi europei e quale tipo di interlocuzioni ci sono state con la Francia? Sappiamo che, pochi giorni dopo l'uccisione di Giulio Regeni, il presidente Hollande si è recato in missione in Egitto. Immagino che nei colloqui riservati ci sia stato, anche da parte sua, un riferimento.
Infine l'ultimo punto. Ci è stato detto da tutti, ma credo che una sua valutazione sia utile. Quali sono state le azioni che l'Italia ha intrapreso per ridurre il livello di collaborazione con l'Egitto? Sono state varie, le ha spiegate dal punto di vista formale e diplomatico il Segretario generale Belloni, ma dal punto di vista politico, su cosa lei ha dato un'indicazione di ridurre l'ingaggio con l'Egitto? Grazie.
PRESIDENTE. Grazie, collega Quartapelle. Vista l'ora, aggiungerei qualche domanda e darei la parola al senatore Renzi per le risposte. Lo pregherei di essere molto conciso rispetto ai punti che le chiediamo, abbiamo tra poco un importante appuntamento in Assemblea in cui sono impegnati molti colleghi della Commissione.
La prima domanda. Lei fa riferimento al fatto di essere stato informato il 31 gennaio. A noi risulta, dagli atti che questa Commissione ha potuto acquisire, che l'ambasciata ha comunicato tempestivamente alla Farnesina quanto stava accadendo e che sono stati attivati tutti i canali politici e diplomatici anche con le autorità egiziane, che sono state informate al massimo livello della sparizione del nostro connazionale, tra l'altro anche con una presentazione di denuncia formale presso le autorità egiziane, avvenuta il 27 sera.
Qual è il motivo per cui lei ritiene di non essere stato informato fino al 31 gennaio? Secondo lei, alla luce dei rapporti che intercorrevano in quel momento e che lei ci ha raccontato essere particolarmente floridi tra l'Italia e l'Egitto, che era un partner privilegiato, perché le autorità egiziane hanno deciso di non collaborare con le autorità italiane nella ricerca di Giulio Regeni? Ricordo che dopo diversi tentativi il ministro Ghaffar riceverà l'ambasciatore Massari soltanto il 2 febbraio e fino ad allora non c'era stato modo di interloquire direttamente con le autorità egiziane ai massimi livelli.
L'altra domanda che le volevo fare sottende una valutazione di carattere politico, una scelta politica che questa Commissione è tenuta a valutare. Nel 2014 lei afferma che l'Egitto diventa un partner privilegiato, nonostante siano testimoniate le violazioni drammatiche dei diritti umani in quel Paese. La collega Quartapelle fa riferimento al colpo di Stato con cui al-Sisi è arrivato al potere. Io faccio riferimento a una risoluzione del Consiglio degli affari esteri dell'UE del 2013, approvata, tra l'altro, su impulso italiano da parte dell'allora Ministro degli esteri Bonino e sulla base di quanto era accaduto in piazza Rabi'a al Cairo, in cui si è consumata una strage dove hanno perso la vita circa 1000 persone. Quella violenza del regime egiziano nei confronti della popolazione civile aveva suscitato indignazione in Europa e si stabilisce una sorta di embargo, anche se non in senso vincolante, sulla vendita di armamenti accompagnato da molta preoccupazione per la condizione dei diritti umani in Egitto. La mia domanda – anche rispetto alle cose che lei qui ci ha detto, sul modo in cui una democrazia liberale si rapporta con Paesi in cui gli standard democratici non sono identici – è se una democrazia liberale come la nostra o come quella dell'Unione europea può chiudere gli occhi nei confronti di quanto accade in un Paese limitrofo come l'Egitto in termini di violazioni dei diritti umani. Non parliamo di un abbassamento degli standard, parliamo di migliaia di persone uccise durante una manifestazione di piazza, in nome della realpolitik, sia che riguardi l'interesse economico sia che riguardi l'interesse geopolitico e strategico sulla sicurezza a cui lei ha fatto riferimento.
Un'ultima cosa precisa riguarda l'audizione dei genitori di Giulio Regeni, i quali, facendo riferimento a un incontro avuto con lei il 7 luglio 2016, affermano che lei abbia detto di avere avuto modo di vedere – lei o un'altra autorità del nostro Paese – i video della metropolitana, video che arriveranno, manipolati, nelle mani degli investigatori molto tempo dopo. Vorrei sapere qual è la ragione di questa circostanza, se è un misunderstanding con la famiglia o se noi, prima dell'autorità giudiziaria, eravamo stati in grado di acquisire la visione di questi filmati. Grazie.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Grazie presidente, provo a essere più rapido rispetto ai precedenti interventi.
Rispondo al vicepresidente Trancassini. Lei mi fa una domanda più di valutazione politica. Io non voglio sottrarmi naturalmente, però preciso che è una domanda di valutazione politica. Non metto minimamente in discussione il valore della scelta che la Camera dei deputati ha fatto di istituire questa Commissione. Se questa Commissione è stata istituita, indipendentemente dalle valutazioni dell'allora Governo in carica, è una scelta della Camera che, come tale, rispetto.
Io penso che in questa fase al Paese servirebbe – l'ho detto al professor Conte e all'onorevole Gentiloni, quindi sono a posto con me stesso e con la coscienza – un'Autorità delegata. Io ritengo che la legge di riforma dei servizi, che prevede la possibilità e non la necessità di avere un'Autorità delegata, debba essere interpretata, come hanno fatto tutti i Presidenti del Consiglio fino al sottoscritto, nella scelta di nominare un sottosegretario con questa delega, perché ci aiuta. Onorevole Trancassini, io le faccio un esempio che riguarda un'altra vicenda, sulla quale lei, immagino, per la forza politica cui appartiene, abbia una sensibilità spiccata, ovvero la vicenda dei marò. Noi abbiamo portato a casa i due marò, facendo un lavoro molto difficile e tutto sotto traccia. Ancora una volta lei non troverà una mia foto con nessuno dei due marò. Qualche mio predecessore ci si è fotografato insieme a Palazzo Chigi, salvo poi rimandarli indietro. Noi li abbiamo riportati a casa con un'intensa azione di cooperazione e anche di discussione con l'India, attraverso un lavoro fatto molto bene dal Ministro degli esteri, dalla Segretaria generale della Farnesina e dall'intelligence. Questo lavoro lo si fa se si ha una struttura istituzionale coesa, che lavora insieme e dove, paradossalmente, può capitare che una volta tocchi alla Farnesina fare un passo indietro, un'altra all'intelligence, e un'altra volta magari ti aiuta la Difesa. Così fa un Paese. Questo per dirle che nel caso di specie – poi vengo alle domande dell'onorevole Quartapelle e del presidente – io credo che ciò che serve in Egitto non sia il ritiro della diplomazia, ma la presenza di un inviato speciale del Presidente del Consiglio, con mandato politico sulla vicenda Regeni, perché l'Egitto aiuti nel processo ai responsabili. Su questo punto penso di averle risposto, in modo non dettagliato, ma politicamente chiaro. Autorità delegata e inviato speciale, questo è ciò che farei io e non visite diversificate, perché, in particolar modo, di fronte a un Paese come l'Egitto, si va con una sola voce, altrimenti viene il sospetto che si vada lì più per raccontare un posizionamento ai propri followers che non per portare a casa un risultato. Questo è un passaggio molto importante e valido erga omnes.
Con l'onorevole Quartapelle abbiamo valutazioni diverse, non da ora, su alcune vicende relative a quell'area geografica, però credo che l'analisi che lei ha fatto sia quella che avevo fatto anch'io circa il nostro posizionamento. Noi andiamo a Sharm el-Sheik, lei dice unico dei Paesi del G7, dimenticando en passant che con me c'era John Kerry, frutto di una lunga discussione con il presidente Obama e con l'allora vicepresidente Biden. Non c'è ombra di dubbio che il presidente Obama non fosse a Sharm el-Sheik, ma che questa fosse una scelta che l'Italia stava facendo in dialogo con gli Stati Uniti e i partner europei dovrebbe farla contenta nel senso che dovrebbe valorizzare come allora vi erano, su alcuni dossier, dei tentativi italiani di giocare una leadership. Faccio un esempio, perché resti agli atti anche in questo caso, identico e contrario. Nel 2016 l'Italia è l'unico Paese che va ospite d'onore a San Pietroburgo, in una dinamica complicata con la Russia. Quando l'Italia fa questa scelta, in quella sede il Presidente del Consiglio va a difendere la democrazia americana dopo un attacco di Vladimir Putin dal palco a Hillary Clinton, ma va, questo è importante, con il presidente Juncker, che un minuto dopo che si capisce che l'Italia è l'ospite d'onore, decide di rappresentare l'Europa a San Pietroburgo non come ospite d'onore, ma nel panel precedente, perché non può lasciare alla sola leadership italiana l'iniziativa.
Nei tre anni in cui abbiamo avuto l'onore di servire il Paese, abbiamo cercato di scrivere pagine diverse di politica estera. E a questo proposito, presidente Palazzotto, prendo le distanze politiche dalle sue considerazioni in cui lei richiama un fatto drammatico del 2013. Le significo che non facevo il Presidente del Consiglio: delle tante cose che mi si possono attribuire e che mi sono attribuite, almeno chiederei la precisione dei dati rispetto a quando ero Presidente del Consiglio. Se vogliamo fare una lettura geopolitica della situazione, Morsi era un presidente che giocava di sponda con i Fratelli musulmani. Al-Sisi era un presidente che giocava contro i Fratelli musulmani. Le dinamiche del gioco democratico in quel quadrante sono molto complicate. Mi verrebbe voglia di dire che la fine della democrazia liberale Putin la pronostica per l'Europa, non per il Medio Oriente dove la democrazia liberale non è ancora iniziata. Ma quello che voglio dire è che noi non possiamo raccontare la vicenda Morsi-Sisi come una vicenda nella quale c'erano i buoni e sono arrivati i cattivi, perché questa ricostruzione, a mio giudizio, è fallace, detto che io non ero il Presidente del Consiglio.
Ha sicuramente ragione l'onorevole Quartapelle nel dire che io, in un'intervista ad Al Jazeera, volutamente Al Jazeera – prima non l'avevo citato, l'ha fatto adesso l'onorevole Quartapelle e io lo evidenzio – vado espressamente alla TV di proprietà del Qatar, a dire che per noi al-Sisi è un partner. Lo faccio apposta, come del resto i fini conoscitori della politica estera capiscono immediatamente.
Il punto è che non condivido l'analisi dell'onorevole Quartapelle, quando dice che non c'è stata la minima volontà di collaborare da parte dell'Egitto. Non è che possiamo parlare di minima o massima, ma l'Egitto ha accettato di fare delle cose che non avrebbe mai accettato di fare, anche perché – e su questo ha ragione l'onorevole Quartapelle – qui c'è un dato di fatto: gli altri Paesi non reagiscono come reagiamo noi. La vicenda Regeni è identica a quella di un cittadino francese e come giustamente veniva poc'anzi ricordato, qualche tempo dopo la vicenda Regeni, quando io pongo in tutte le sedi, anche in Consiglio europeo, il problema di Giulio Regeni, il presidente francese si reca in visita in Egitto. Eppure aveva avuto un cittadino francese ucciso in circostanze che possiamo definire analoghe. Questo significa che diversa non è soltanto la sensibilità istituzionale tra noi e gli altri Paesi, magari del quadrante del Medio Oriente e non solo, ma anche tra noi Paesi europei. Io sulla vicenda Regeni pongo il problema diplomatico, Hollande non lo fa, perché loro hanno un modello diverso di gestione di alcune dinamiche. È così.
Questo noi l'abbiamo spiegato molto bene al presidente al-Sisi, che lo ha capito, se è vero che ha permesso una collaborazione giudiziaria, che non è quella che noi sognavamo, ma è decisamente superiore a quella standard utilizzata rispetto ad altri Paesi. Lasciatemi dire che noi abbiamo scelto un signor ambasciatore per il Cairo, perché l'ambasciatore Cantini è una persona straordinaria, di grande esperienza e di grande valore, e a mio giudizio ritirarlo adesso non significa semplicemente mettere in difficoltà il singolo ambasciatore o due aziende che lavorano in Egitto, che ovviamente sarebbe un problema, ma meno grave del resto. Il ritiro dell'ambasciatore sembra più una mossa finalizzata a parlare all'opinione pubblica italiana che non a risolvere il problema. Io non voglio ritirare l'ambasciatore, io voglio la verità. E la verità la ottengo se faccio pressione politica, non se vengo via. Questo è il punto fondamentale e la pressione politica la faccio nominando ai massimi livelli un inviato speciale o una figura analoga.
L'onorevole Quartapelle mi chiedeva quali fossero state le scelte che ho fatto a livello europeo.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Io però devo andare in Aula.
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MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio. Mi pare di averle risposto a tutto, se ha ancora trenta secondi le rispondo su cosa abbiamo fatto a livello europeo. Abbiamo fatto i passaggi in Consiglio europeo che sono sotto gli occhi di tutti e sulla stampa.
Finisco rispondendo alle domande del presidente Palazzotto, così vi lascio liberi.
PRESIDENTE. Le chiedo scusa. La relatrice sta chiedendo all'Assemblea una sospensione di venti minuti per poter consentire alla Commissione di terminare i suoi lavori.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Vi chiedo scusa, finisco con le risposte al presidente Palazzotto.
Io le ho detto quando l'ha saputo il Presidente del Consiglio, non è che il Presidente del Consiglio viene informato di tutte le sparizioni costantemente e in tempo reale. A me è stato detto il 31, punto. Ho condiviso con voi che, se lo avessi saputo prima, sarei stato forse in condizioni di lavorare da prima, anzi, sicuramente in condizioni di lavorare da prima: non so come sarebbe andata, ma onestà vuole che si dica la verità. Io l'ho saputo il giorno 31.
La non collaborazione egiziana è un falso, la non sufficiente collaborazione egiziana è la realtà, ma se noi diciamo che gli egiziani non hanno fatto niente, non ci rendiamo conto anche del perché la loro reazione sia – come posso dire – di stupore. Noi gli diciamo: «Guardate che su questa cosa facciamo sul serio», poi avvengono i fatti che ricordava l'onorevole Sportiello del 24 marzo. Gli diciamo: «Guardate che su questa cosa facciamo sul serio» e gli mandiamo giù il dottor Pignatone, e poi gli egiziani vengono su.
PRESIDENTE. Senatore, giusto per la precisione. La non collaborazione è nelle ore successive al rapimento, cioè il Ministro dell'interno egiziano Ghaffar, a cui fa riferimento la National Security Agency sospettata di avere rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni e di cui fanno parte i cinque agenti indagati, non riceve il nostro ambasciatore, non collabora alle ricerche.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Però mi scusi, presidente Palazzotto, mi faccia terminare. Io capisco che lei abbia una sua tesi, ma qui lei è il presidente della Commissione. Mi faccia terminare, poi faccia le sue valutazioni. Le rispondo su un punto specifico.
PRESIDENTE. Si tratta di non confondere le due parti: mi riferivo alla non collaborazione alle ricerche, non alla cooperazione giudiziaria.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Presidente, sono stati auditi in quest'aula tutti i Ministri degli esteri degli ultimi quattro anni. È stata audito il Segretario generale della Farnesina, l'ambasciatrice Belloni, che sarebbe succeduta in tale carica all'ambasciatore Valensise pochi mesi dopo la tragica vicenda. In tutti quegli atti vengono ricordati i fatti in modo molto chiaro. I fatti dicono che non è vero che fino al 2 le autorità egiziane fingono di non ascoltarci. Il giorno 31 noi diciamo subito alla ministra Guidi che è lì, di andare da al-Sisi e spiegare cosa sta succedendo. Non riportiamo fatti che non sono veri. Il punto vero è che dal 31 ci mettiamo in moto, noi vertici del Governo, non voglio utilizzare una parola brutta. Il 31, appena lo sappiamo, non è che chiediamo un appuntamento per Massari che ci va il 2, il 31 noi ci attacchiamo al telefono. Quando capiamo che è una cosa che rischia di essere drammatica e seria, immediatamente ci muoviamo, tanto è vero che accade qualcosa in Egitto, ma non posso sapere cosa. Questo dovranno stabilirlo i magistrati, altrimenti la presunzione è quella di arrivare noi politici a decidere la verità giudiziaria, cosa che non spetta a noi.
Ma se lei mi dice che Massari non riesce a parlare con le autorità fino al 2, non è vero, perché Massari è con la Guidi. Poi, non avrà l'incontro ufficiale, formale, quello da nota diplomatica, ma il giorno 31 noi interveniamo: c'è una cena, non ricordo se il 31 o il primo, comunque è tutto agli atti.
Mi faccia finire, poi farà le sue valutazioni. Se dico il falso, me lo dirà. Altrimenti si va a raccontare una cosa che non è vera. Ho fatto un'ora di discussione per raccontarvi quale fosse lo stato dell'arte dei rapporti, i dati sono quelli che vi spiega l'ambasciatrice Belloni e il ministro Gentiloni. I fatti sono quelli, poi ognuno di voi è libero di avere le proprie opinioni. Qualcuno è libero di dire che Morsi era meglio di al-Sisi, per esempio è la tesi dell'allora ministro degli Esteri italiano. L'onorevole Bonino, ministro degli Esteri di allora, era molto più sensibile a una posizione vicina a quella della «Primavera egiziana» che non altri che sono succeduti a lei. Io personalmente credo che la lotta di al-Sisi contro i Fratelli musulmani fosse un fatto positivo, ma da qui a definire il nostro Governo come un governo che non ha reagito davanti alla notizia, appena arrivata, di un italiano che era in quelle condizioni, è una cosa che non posso permettere a nessuno. Noi il 31 lo sappiamo e lo stesso giorno al-Sisi è informato.
PRESIDENTE. Però, senatore...
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Finisco, poi lei fa tutte le sue considerazioni. Lei ha il dovere di farmi parlare se mi fa delle domande. Altrimenti fa la sua audizione, ma io non ho bisogno di stare con lei. Questo deve essere chiaro nel rispetto del regolamento.
Ultimo punto. Io penso che ci voglia un atto di verità, e ho finito davvero. Se voi venite qui e pensate di poter dire che l'Egitto non ha fatto nulla, non vi rendete conto di quello che è l'Egitto, che era, che è stato e che sarà. Probabilmente in Egitto qualcuno pensava di cavarsela facendo finta di niente. Gli abbiamo ritirato un ambasciatore, rifiutato le verità di comodo, posto problemi su tutte le questioni, posto il tema ai tavoli internazionali, portato le autorità giudiziarie italiane in Egitto e le autorità egiziane in Italia.
Signori, noi abbiamo fatto quello che deve fare un Paese civile. Portare stampa, istituzioni, giornalisti e giudici. Dopodiché è evidente, questo sì, che questo livello di collaborazione, a mio giudizio, deve ancora proseguire e soprattutto l'Egitto deve fare giudicare i colpevoli.
Ciascuno di voi rimarrà sulle proprie idee su Morsi, su al-Sisi, sui Fratelli musulmani e sui sunniti. A me quello che interessa è che venga fuori la verità su chi ha ucciso Giulio Regeni. Questo è quello che l'Italia deve chiedere e questo è quello che noi abbiamo fatto, perché la verità parla per noi. Grazie.
PRESIDENTE. Senatore, evidentemente non ci siamo capiti. Io continuo a sostenere – ed è un dato di fatto sulla base degli atti della Commissione – non che le autorità italiane non abbiano fatto la propria parte, ma che le autorità egiziane non abbiano collaborato. È un dato di fatto che, fino al 2 di febbraio, il Ministro dell'interno non ha ricevuto il nostro ambasciatore, è un dato di fatto che non c'è stata risposta alle nostre richieste di collaborazione per la ricerca di un nostro connazionale. Giulio Regeni risulta dagli atti della Procura di Roma che sia stato ucciso verosimilmente il 2 febbraio, così viene identificata la data. Quindi anche tra il 31 gennaio, da quando viene informato al-Sisi, al 2 febbraio, il governo egiziano non interviene per fare qualcosa e in più – mi dispiace, sarà anche una valutazione, ma credo che sia una valutazione comune della Commissione – abbiamo acquisito come nel corso di questi anni non ci sia stata una piena collaborazione da parte egiziana, ma ci siano stati diversi tentativi, almeno tre certificati dalla Procura di Roma, di depistaggio da parte egiziana.
Questi sono dati di fatto. La valutazione politica di questi dati di fatto la faremo dopo. Nessuno qui ha messo in dubbio la tempestività e il lavoro che è stato compiuto dalle nostre autorità e dall'allora Governo. Le chiedevamo una valutazione nel merito della risposta egiziana, che non è stata altrettanto all'altezza della nostra mobilitazione, che, come lei dice, è stata imponente.
MATTEO RENZI, già Presidente del Consiglio dei ministri. Su questo, presidente, non ho niente da aggiungere perché condivido. Non è stato tutto quello che noi avremmo voluto, è stato molto di più di quello che hanno fatto solitamente, ma non a sufficienza. Le ripeto, e la ringrazio nel salutarla, che il punto vero per il quale, secondo me, noi dobbiamo lavorare è che ci sia la verità processuale e la verità la scrivono i magistrati e non la scrivono i politici, questa è la mia opinione.
PRESIDENTE. Bene. Ricordando che è compito della Commissione, così come da delibera istitutiva, ricostruire le circostanze in cui è avvenuto il rapimento e l'uccisione di Giulio Regeni e che a noi non spetta sostituirci – e siamo stati molto attenti in questo – né sovrapporci al lavoro della magistratura, bensì restituire una ricostruzione su una verità politica e non giudiziaria di quanto accaduto, dichiaro conclusa l'audizione e ringrazio il senatore Renzi per la sua disponibilità.
La seduta termina alle 11.15.