Scendendo da piazza del Quirinale, lasciandosi alle spalle il palazzo presidenziale, in direzione di Largo Magnanapoli, si arriva a piazza Venezia su cui affaccia il Palazzo omonimo reso famoso dal balcone a cui era solito affacciarsi Benito Mussolini.
Mi viene in mente questa immagine leggendo le cronache sui preliminari delle votazioni per l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica italiana, il successore di Sergio Mattarella che al Quirinale non intende alloggiare oltre il dovuto, nonostante le insistenze di molti.
Eleggere un nuovo Presidente della Repubblica in tempi di pandemia del virus non è impresa facile. Il sistema politico, già discreditato agli occhi di larga parte dell'opinione pubblica, dopo l'arrivo di Covid-19 si è ulteriormente allontanato dal paese reale, salvandosi solo grazie alla montagna di debito fatto e tollerato da Bruxelles e alla mimetizzazione offertagli dalla "soluzione Draghi", il governo tecnico imposto all'Italia in circostanze ancora poco chiare dagli oscuri mandanti di Matteo Renzi.
Un Draghi talmente altezzoso e arrogante da aver cercato in tutti i modi di convincere Mattarella a rimanere per altri due anni al Quirinale, al solo scopo di tenere caldo il posto al banchiere fino alla scadenza della legislatura nel 2023.
Perché Mario Draghi è convinto fermamente che il posto di Presidente della Repubblica è suo e guai a chi glielo tocca. Lo ritiene il giusto coronamento di una carriera ai vertici dei Poteri che Contano, quelli che lo hanno sempre sorretto nei momenti importanti e anche in questo frangente fanno capire di essere al suo fianco.
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Mario Draghi pensa che in Italia non sia necessaria la legittimazione del voto popolare per scalare le vette delle istituzioni. Non ne ha mai avuto bisogno, nemmeno per entrare a Palazzo Chigi. E' l'ambizione e la convinzione di essere indispensabile, ora più che mai, anche a prescindere dalla pandemia.
Se Draghi non va al Quirinale, tra un anno uscirebbe di scena con le elezioni politiche e non avrebbe più alcuna possibilità di rientrare nelle stanze del Potere, a meno che non si mettesse alla testa di un partito e prendesse il 30% dei voti. Poco probabile.
Quella di Draghi è un'ambizione sfrenata ma legittima, direbbe qualcuno.
Tanto legittima quanto accettata supinamente dai leader dei partiti politici, quelli della maggioranza "bulgara" come anche dell'opposizione di destra e di sinistra.
L'entusiasta sottomissione del Parlamento allo stile di Mario Draghi è il segno della crisi del ceto politico e dell'involuzione autocratica che attraversa l'Italia al pari di molti altri paesi. Qualcuno lo considera un effetto collaterale della pandemia di Covid-19, ma personalmente credo che sia invece un fenomeno nato prima del coronavirus e ha solo trovato condizioni più favorevoli per svilupparsi negli ultimi due anni.
A contrastare l'ascesa di Mario Draghi al Quirinale c'è rimasto, nientepopodimeno, colui che un tempo era la minaccia numero Uno della democrazia, l'atteggiante duce Silvio Berlusconi. Che nel 2011 ricevette una lettera firmata anche da Mario Draghi, appena nominato a capo della BCE, quando fu costretto a dimettersi da presidente del consiglio.
E' inutile parlar male di Berlusconi, di quanto sia penoso ridicolo tragico pensare che possa diventare presidente della repubblica. Anche la candidatura di Berlusconi, come quella di Draghi, è il sintomo di una crisi, della evidente tracimazione del liquame politico oltre il livello di guardia, del venir meno del pudore e del trionfo del lato maleodorante del potere.
Draghi dovrebbe ringraziare Berlusconi e ricompensarlo per l'aiuto indiretto
La candidatura dell'ex Caimano suscita ribrezzo e paura tale da far preferire a molti italiani l'idea di ingoiare il rospo Draghi.
Come se non esistessero alternative tra la padella e la brace.
Se Draghi va al Quirinale si scioglie la legislatura e si va a votare, minaccia Berlusconi, sapendo di toccare la corda giusta per convincere i deputati incerti ma impauriti dal dover andare a casa in anticipo.
Chiunque sia il prossimo Presidente della Repubblica, dovrà garantire il proseguimento della Legislatura fino alla scadenza del 2023, altrimenti nessuno lo vota.
Draghi è debole per questo motivo, perchè un governo con l'attuale maggioranza ma senza di lui è quasi impossibile. Di questo rischio ne è consapevole e per questo fa circolare l'ipotesi di un "governo dei segretari", da Letta a Salvini, per rinsaldare il patto di maggioranza bulgara, con un suo fido maggiordomo a tenere le fila tra Quirinale e Palazzo Chigi.
Mi sembra difficile ... ma ad Enrico Letta l'idea piace.
Benvenuti al Mercato del Quirinale
Molti anni fa per motivi di lavoro mi capitava spesso di attraversare a piedi la piazza del Quirinale. Scendendo ad ovest, lungo i vicoli in direzione della Fontana di Trevi si incontrava un mercato rionale tra i più caratteristici di Roma.
Dubito che ci sia ancora, o che abbia mantenuto gli elementi pittoreschi che lo animavano.
Ma in questi primi giorni del 2022, grazie a Berlusconi e a Draghi, un nuovo Mercato si è installato sul Colle davanti al palazzo del Quirinale.
Ci sono le bancarelle dove si vendono i voti per l'elezione del Presidente della Repubblica italiana.
In teoria, secondo la Costituzione, chiunque avendone i requisiti potrebbe comprare quei voti, assecondando i propri gusti, inclinazioni o perversioni.
Ci sono le bancarelle di quelli che vendono un voto, uno solo, per il peones di turno che vuole entrare nella storia o raccontare ai nipoti: "il mio nome era tra quelli che furono votati durante l'elezione del Presidente", della serie "c'ero anch'io".
Ci sono quelli che comprano qualche voto, a poco prezzo, per divertirsi durante i primi noiosi giorni di votazione. Ci sono quelli che hanno il bonus omaggio, tanto paga il partito, e quelli che vanno al mercato solo per guardare.
All'atto pratico sono pochi quelli che possono permettersi di spendere tanto per comprare i voti necessari ad essere eletto.
Ad una settimana dall'inizio delle votazioni, solo due hanno il "denaro" sufficiente per comprare voti: Silvio Berlusconi e Mario Draghi.
Il primo è ricco di per sè, e se ne vanta, ma è probabile che non abbia messo sul tavolo solo i suoi denari ma anche quelli dei molti amici che lo sostengono. Silvio Berlusconi è una garanzia di affari notevoli per chi si aggrega al suo carro.
Immaginate Berlusconi Presidente della Repubblica. Il Ponte sullo Stretto di Messina non sarebbe più un desiderio incompiuto ma una $olida realtà. Il giro d'affari che potrebbe generare è di decine di miliardi di euro, e per partecipare alla festa basta solo dare un voto a Silvio.
Dall'altra parte Mario Draghi non sta a guardare.
Pur non essendo ricco quanto il cavaliere, ha molti amici ricchi, potenti e banchieri, soprattutto a Parigi, a Francoforte e a Bruxelles. Il banchiere inoltre ha il vantaggio di essere a capo del comitato d'affari che governa i 240 miliardi di euro destinati al PNRR, una somma mai vista nello Stivale con la quale si possono pagare almeno 10 Ponti sullo Stretto di Messina, e molti fanno circolare la voce che senza Draghi i fondi del PNRR sarebbero a rischio.
Berlusconi è abbastanza sgamato per sapere che i miliardi di Draghi sono molti di più dei suoi e fanno molto gola a Matteo Salvini, Matteo Renzi, Enrico Letta, Giuseppe Conte e Giorgia Meloni.
E' per questo che quasi tutte le bancarelle del Mercato di Piazza del Quirinale aspettano una contromossa, una visita del banchiere in persona, o quantomeno del suo Capo di Gabinetto Antonio Funiciello.
Al Mercato del Quirinale il costo dei voti, come quello delle verdure, è schizzato alle stelle.
i.fan.
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Date Created: 17/01/2022 09:02:28