Julian Assange, fondatore di WikiLeaks detenuto in un carcere in Gran Bretagna, non sarà estradato negli Stati Uniti. E questa è una buona notizia.
Lo ha deciso la giudice Vanessa Baraitser accogliendo le richieste dei medici di Assange che hanno fornito numerose prove sulla precaria salute mentale di Assange.
Secondo la Baraitser “L'impressione generale è di un uomo depresso e talvolta disperato, che ha sinceramente paura del suo futuro. Trovo che le condizioni mentali del signor Assange siano tali che sarebbe opprimente estradarlo negli Stati Uniti d'America ”.
Se fosse estradato, argomenta il giudice, Assange sarebbe probabilmente trattenuto in condizioni di isolamento in una cosiddetta prigione supermax dove troverebbe un modo per togliersi la vita con la "determinazione risoluta" del disturbo dello spettro autistico che gli è stato diagnosticato.
Ma la notizia cattiva è data dal fatto che la stessa giudice ha riconosciuto valide le argomentazioni presentate dai legali degli Stati Uniti e cioè che l'attività di Assange, la pubblicazione di documenti che denunciavano nefandezze e crimini dell'esercito USA in Iraq, non rappresentava attività giornalistica e quindi i vertici militari USA, capeggiati dal segretario di Stato Pompeo, avevano validi motivi per chiederne l'estradizione e processarlo negli USA, dove Assange rischia l'ergastolo e la morte sicura in poco tempo.
Una sentenza "compassionevole" quella della Baraitser, che non mette al riparo Assange da futuri riesami e soprattutto potrebbe non garantire la fine della prigionia che lo sta lentamente uccidendo, mentalmente e fisicamente, e il riconoscimento dei suoi diritti, sia di uomo libero che di giornalista.
La logica conseguenza della sentenza invece dovrebbe essere la concessione ad Assange della libertà per potersi curare e difendere. Ne ha tutto il diritto.
Dopo la sentenza inglese, chi canta vittoria si illude, perché le condizioni di Assange e quelle della libertà di informazione restano sempre molto gravi.