Quando Giorgia Meloni in campagna elettorale ha rinnovato il suo grido di battaglia "Io Sono Giorgia, sono una donna, sono una madre .... ha omesso di dire sono una fascista.
Gli sarebbe piaciuto dichiararlo, se avesse seguito il cuore lo avrebbe fatto, ma ovvie ragioni di opportunità politica glielo hanno sconsigliato.
Dopo aver vinto le elezioni - con il beneplacito di tutti i rassegnati d'Italia - Giorgia Meloni ha iniziato a non avere più paura di mostrarsi per quello che è davvero, sicura di avere tutti ai suoi piedi o abbastanza sottomessi.
Giorgia ha iniziato subito a togliersi i panni di Donna.
Le donne nel suo governo quasi non ci sono e quelle poche intrufolate - casellati santanchè ?! - non rivendicano la loro appartenenza di genere più di tanto.
Pensassero solo a fare figli (ministero della natalità), come ai bei tempi!
Poi Giorgia, dopo le estenuanti fatiche per lottizzare anche i marciapiedi di Montecitorio, è stata assalita dai ricordi, ha provato un impeto di nostalgia ripensando ai tempi in cui era costretta a fare riunioni carbonare nelle sedi missine, o a guardare le manifestazioni dei "sinistri" da dietro gli elmetti dei celerini, incitandoli in cuor suo a manganellare più forte.
Per questo ha dato subito disposizioni al Piantedosi Salvini: se all'università di Roma si dovessero raggruppare più di dieci studenti, manganellateli immediatamente, così ringiovanisco.
E così Giorgia ha dimenticato che uno studente in genere ha una madre ancora in vita, che si preoccupa e si addolora se qualcuno fa del male ai suoi figli, qualunque sia il loro credo politico.
Tolti anche gli abiti della Madre, Giorgia ha dimostrato subito di che pasta è fatta quando si tratta di "porre fine al lassismo" della sinistra, soprattutto con gli immigrati e i ravisti, i nuovi barbari che mettono a rischio la sicurezza degli italiani perbene.
Il Rave di Modena era appena iniziato che il decreto anti-Rave era già pronto. Stava in un cassetto di Piantedosi Salvini in attesa della prima occasione. Sei anni di galera chi organizza o partecipa ad assembramenti di cinquanta o più persone, disturbando la quiete pubblica.
Non sarà necessario occupare un immobile fatiscente e abbandonato, basterà una scuola (anche quelle sono fatiscenti) o una piazza, anche senza la musica, si disturba la quiete pubblica con gli slogan sovversivi.
Quelli di Predappio erano più di 50 e sono andati come ogni anno a commemorare, liberamente e senza freni, la memoria del Duce Benito Mussolini, con saluti alla romana e vecchie canzoni degli anni 20 del Novecento.
Lo fanno da molto tempo, senza che nessuno li abbia arrestati o manganellati. Sono seguaci fascisti a cui il sistema democratico concede libertà di espressione, nonostante l'origine antifascista della Repubblica Italiana e le norme del codice penale contro l'apologia e la ricostituzione del partito fascista.
Quest'anno l'adunata di Predappio si è svolta nella cornice del primo governo di estrema destra presieduto da Io Sono Giorgia, ex militante di estrema destra, e del centesimo anniversario della Marcia su Roma delle camicie nere, anticamera della presa del potere da parte di Mussolini.
Per l'occasione un giornalista ha chiesto a Giorgia Meloni cosa ne pensava dei nostalgici fascisti e lei ha risposto che la manifestazione di Predappio "politicamente è una cosa distante da me in maniera molto significativa".
Frase ambigua, anzi esplicita, che la dice lunga sul camaleontismo di Giorgia Meloni e sull'uso spregiudicato degli ammiccamenti all'estrema destra.
Giorgia non ha definito "4 imbecilli nostalgici" quelli di Predappio, non ha criticato il loro frasario, le gesticolazioni e l'esaltazione delle politiche attuate durante il ventennio fascista.
Ha solo detto che sono "distanti da me", come gli innamorati che per qualche motivo sono costretti a vivere distanti ma sempre fedeli in cuor loro, in attesa di ritrovarsi un giorno vicini.
"Distanti da me in maniera molto significativa" è una frase che non esprime nessuna condanna o critica all'ideologia dei predappisti. Anzi.
Rivela una comunanza, un possibile riavvicinamento futuro, una appartenenza indistruttibile. Esplicita la convinzione fascista di Giorgia Meloni. Che potrebbe legittimamente dichiararla, senza doppi giochi o senza scomodare le donne e le madri. "Io sono Giorgia, sono una fascista", punto, sarebbe stato meglio saperlo prima che dopo. E' più coraggioso e più femminile.
da Repubblica del 2/11/2022 - Intervista a Zerocalcare
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Giorgia Meloni e l'antifascismo. Dimenticando Gobetti e Calamandrei, per la premier l'antifascismo è solo quello con la chiave inglese. Perché la racconta così?
"Perché è la sua storia. Quella di Meloni è una comunità politica che, al di là di come si atteggia davanti alle telecamere, è in piena continuità con il neofascismo degli anni Settanta. Una volta giunta alla fine della traversata, non mi stupisce che si tolga i suoi sassolini dalle scarpe. È il solito vittimismo. Raccontano la storia come fa comodo a loro, dimenticando che, in quegli anni, i neofascisti mettevano le bombe sui treni e nelle stazioni d'accordo con i servizi segreti".
Sono tornati a prima di Fini, rinnegando Fiuggi?
"Non mi sembra che ci sia questa vocazione al superamento del fascismo. Mi sembra invece che alcune parole pronunciate in questi giorni sono state rassicuranti solo per chi voleva sentirsi rassicurato. La verità è che il codice linguistico è sempre quello, senza cesura...La nazione sovrana, i patrioti.... È una comunità politica, lo ripeto, che non cederà un'unghia su questo. Del resto non ha motivo di farlo, visto che nessuno glielo chiede".
Alla Fabbrica del Vapore di Milano il 15 Dicembre si apre la tua personale. "Dopo il botto", è il titolo. Nella locandina si vede un asteroide colpire la città, una metafora del Covid. Cosa è cambiato?
"La pandemia ha avuto un impatto drammatico anche sulle reti sociali, sulle reti politiche e persino su quelle affettive. È stato un evento estremamente diviso e siamo ancora fermi lì. È impossibile ragionare, me ne accorgo anche nei miei eventi dal vivo quando qualcuno solleva il tema".
Come mai è impossibile ricucire questa frattura?
"Non so, forse ha a che fare con il fatto che le persone, chiuse in casa, si sono formate la loro opinione sui social. E questo ha portato a una sorta di jihad contrapposte tra "complici della dittatura" e "untori del virus". Le lacerazioni sono molto profonde. Nella mostra c'è la mia vita di questi anni, c'è il conflitto. E, naturalmente, c'è anche un riflesso di questo".
Michele, tu oggi hai paura?
"Io sono bianco, sono maschio e faccio parte dei privilegiati. Sarebbe ridicolo se ti dicessi che ho paura per me. Ma ci sono tutta una serie di soggettività che hanno motivo di preoccuparsi. Ma non per questo governo in particolare. È il Paese che è cambiato e questo governo di destra ne è solo la conseguenza".