Dal 24 agosto inizia con il placet della IAEA - l'Agenzia Nucleare Internazionale di cui il Giappone è uno dei maggiori azionisti - il riversamento nell'Oceano Pacifico di 1,3 milioni di tonnellate di acqua radioattiva dai serbatoi di Fukushima.
E' l'acqua che si è accumulata dal 2011, dopo la fusione di tre reattori dell'impianto di Daichii a seguito del devastante terremoto con tsunami che causò più di ventimila morti.
Per evitare la fusione del nocciolo e il conseguente meltdown gli ingegneri della TEPCO iniziarono a pompare acqua marina per raffreddare le barre di combustibile nucleare. L'acqua al termine del ciclo conteneva elevate dosi di isotopi radioattivi di vario genere, perciò veniva filtrata con un sistema di discutibile efficacia e l'acqua di risulta, contenente ancora percentuali di carbonio-14 (tempo di decadimento 5000 anni) e trizio (100 anni) è stata immagazzinata in migliaia di serbatoi esterni all'impianto.
Lo spazio di accumulo dell'acqua radioattiva si è esaurito, i reattori ancora bruciano e i giapponesi hanno avuto la brillante idea: "svuotiamo in mare i serbatoi già pieni per liberare posto (per almeno altri 30 anni)"
Il progetto è iniziato un paio di anni fa ma ostacolato dalle incognite scientifiche (di cui nessuno si preoccupa veramente) e soprattutto dalle reazioni della popolazione locale e della importante industria della pesca che si sviluppa lungo il lato oceanico del Giappone.
Per superare l'ostacolo delle popolazioni e dei pescatori, il governo giapponese ha iniziato a promettere lauti risarcimenti e un budget di centinaia di milioni di dollari per superare l'impatto negativo di immagine nel commercio di pesce in tutta l'area, fino ad Hong Kong.
La Cina è il paese che più di tutti ha protestato contro l'acqua sporca di Fukushima, anche se si ritiene che lo abbia fatto più per un calcolo geopolitico che per effettive preoccupazioni ambientali. Pechino da oltre 50 anni ha diffuso nell'atmosfera (che al pari degli oceani non ha confino "nazionali") milioni di tonnellate di polveri inquinanti senza mai chiedere permesso ai vicini ...
Un evento senza precedenti e dalle conseguenze ignote, ma Tokyo rassicura che i (suoi) pescatori saranno risarciti.
... Il governo di Hong Kong si è opposto al piano di scarico delle acque del Giappone e ha vietato le importazioni di prodotti della pesca da 10 regioni, tra cui le prefetture di Ibaraki e Fukushima.
Anche i grossisti di pesce a Choshi, nella prefettura di Chiba, sono preoccupati per lo scarico dell'acqua.
Dopo che il piano di rilascio dell'acqua era stato lanciato, 160 grossisti di Choshi hanno formato un'associazione nel 2020 per negoziare con il governo.
"Essendo appena emersa dalla pandemia di COVID-19, l'industria della pesca qui non sopravviverebbe ai danni alla reputazione (causati dal rilascio di acqua)", ha affermato il presidente dell'associazione.
In attesa di poter valutare in modo più obiettivo e indipendente l'impatto dell'acqua radioattiva di Fukushima sull'ecosistema dell'Oceano Pacifico - lato asiatico e lato americano - si possono fare alcune considerazioni.
- La gestione del disastro di Fukushima conferma e aggrava un'asimmetria della produzione di energia tramite impianti nucleari: i benefici sono locali e immediati, i disastri sono globali e per tempi lunghissimi
- La soluzione adottata dal Giappone per lo smaltimento delle acque di Fukushima è un grave precedente anche per altri paesi e altre situazioni.
Con quale credibilità si può pretendere dal governo brasiliano una maggiore protezione della foresta amazzonica, rinunciando a ricchezze e interessi immediati?
- La procedura adottata per valutare l'impatto ambientale è piena di contraddizioni e conflitti di interesse. I valori delle concentrazioni di radioisotopi a parere di molti sono opinabili o insufficienti. Anche l'agenzia nucleare internazionale esce ridimensionata nella sua credibilità dalla scarsa trasparenza dimostrata nel processo di valutazione delle proposte TEPCO.