Secondo molti che hanno visto e sentito Mario Draghi pronunciare la frase sul "dittatore Erdogan" in risposta ad una domanda sullo scandaloso caso Michel-von der Leyen, il presidente del consiglio sarebbe stato vittima di un lapsus, per stanchezza o troppa fretta, incalzato dalle domande dei giornalisti. Non voleva pronunciare quella parola, dittatore, nè accostarla alla persona del tiranno turco.
Anche a me, vedendo la conferenza stampa in televisione, Draghi ha dato subito l'impressione di essere "inciampato" o meglio, di aver detto a voce alta quello che uno pensa e poi vorrebbe non dire o quanto meno correggere.
Immaginiamo la stessa frase di Draghi sostituendo la parola dittatori con "uomini forti":
«Mi è spiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente von der Leyen ha dovuto subire. La considerazione da fare è che con questi ... uomini forti ... di cui però si ha bisogno, di collaborare, o meglio di cooperare, uno deve essere franco nell’esprimere la differenza di vedute, di comportamenti, di visioni, ma pronto a cooperare per gli interessi del proprio paese», trovando l’«equilibrio giusto»
Erdogan non solo non si sarebbe incavolato, ma si sarebbe compiaciuto e rallegrato. Si considera da sempre un uomo forte.
Ma la sostanza del ragionamento di Draghi non sarebbe cambiata.
Perché quella frase fa parte del suo metodo politico, da sempre. Gli ha consentito di fare carriera, di scalare il Potere, di navigare nelle tempeste trovando sempre la via di uscita favorevole.
Draghi sa benissimo che la Storia è stata fatta per quattro quinti dalle tirannie, dalle dittature, dalle guerre e che oggi i trequarti dell'umanità vivono in regimi non democratici, essendo nella migliore delle ipotesi delle autocrazie, finte democrazie, regimi più o meno dispotici, o semplicemente dittature.
In una situazione del genere è illusorio pensare di potersi scegliere la forma di governo dei nostri partner commerciali e geopolitici. Pragmatismo diplomatico, realpolitik.
Alla fine degli anni '30 dello scorso secolo le fragili democrazie europee fecero lo stesso ragionamento con la dittatura instaurata da Hitler in Germania.
Solo in seguito si capì che gli accordi di Monaco aprirono la strada agli orrori della Seconda Guerra Mondiale.
Fare la voce grossa, "con franchezza" per poi "collaborare, anzi cooperare" perché dei dittatori c'è bisogno, fanno parte anche loro delle creature di Dio e sono utili per gli interessi del "nostro Paese".
Parole ferme e chiare (ma solo parole) sui diritti umani, scambi e affari lucrosi nell'interesse del "nostro Paese": questo è quello che Draghi pensa e voleva dire quando è "inciampato" su Erdogan.
D'altra parte pochi giorni fa Draghi è andato in Libia ad esporre lo stesso concetto.
Pochi, tra cui Roberto Saviano sulle pagine del Corriere della Sera, si sono scandalizzati per le parole di "ringraziamento" ai banditi della Guardia Costiera Libica pronunciate da Mario Draghi nella visita al nuovo despota insediato in Libia da Erdogan e Putin.
E' il "metodo Draghi", quello della doppia faccia, del camaleontismo, del dire ma non fare e del fare senza dire.
Quello che si coniuga con il "what ever it takes", a qualsiasi costo, compreso quello dei valori e dei diritti umani calpestati.
Il "pecunia non olet" dei banchieri.
Non bisogna essere un dittatore per capire che il metodo Draghi conviene a tutti, tranne che agli oppositori al regime. Pensiamo alle migliaia di dissidenti, donne, giornalisti, magistrati, curdi, omosessuali, sindacalisti, che in Turchia soffrono le crudeltà e i divieti imposti da Erdogan.
Per tutti costoro il metodo Draghi è una tragica beffa, anzi una crudele presa in giro.
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Il caso Draghi-Erdogan si applica senza alcuna variante ad altri soggetti, come Vladimir Putin (tralasciando per un attimo Xi Jinping).
Anche il russo è un dittatore. Regna incontrastato ( e chi lo contrasta se ne pente) dalla fine degli anni '90 e da pochi giorni si è allungato la vita politica per tiranneggiare fino al 2036.
Essendo anche lui un dittatore di fatto, bisogna trovare il modo di cooperare anche con lui, applicando la dottrina Draghi, anche nel caso "sfortunato" in cui il tiranno faccia qualche vittima, ad esempio Aleksej Navalnyj.
Dopo la sua ennesima incarcerazione, preceduta dal tentativo di avvelenamento, le diplomazie europee hanno pronunciato solo parole, "ferme e chiare sui diritti umani£, con scambi e affari lucrosi "nell'interesse del Paese".
Navalnyj, scampato per puro miracolo al veleno di Putin ora è rinchiuso in un carcere dove ogni giorno viene lentamente ucciso dagli aguzzini di Zar Vladimir. E' ammalato, senza cure. Lo hanno messo in cella con malati di tubercolosi, affinchè si contagi accidentalmente.
Navalnyj ha iniziato uno sciopero della fame nella speranza di attirare l'attenzione internazionale.
Per Navalnyj la dottrina Draghi equivale alla condanna a morte, perché Putin è ben contento di essere chiamato dittatore e continuare a "cooperare" con l'Europa dei tecnocrati in Siria, in Ucraina, in Libia, in Bielorussia e ovviamente in Russia, perseguitando ed eliminando gli oppositori.
Se Navalnyj contava di suscitare una reazione internazionale che mettesse in difficoltà Putin costringendolo a qualche passo indietro, purtroppo dovrà ricredersi dopo le parole di Mario Draghi sui "dittatori".
Per i tanti Navalnyj ci solo solo "parole ferme e chiare". Niente altro.
C'è sempre un "interesse nazionale" che può farci chiudere gli occhi di fronte alle malefatte dei dittatori. Lo sanno benissimo gli Erdogan, i Putin, i Xi Jinping, i bin Salman, per non parlare del torturatore al Sisi con cui facciamo ottimi affari nonostante Giulio Regeni e Patrik Zaki.
Erdogan, pensaci bene, non ti arrabbiare.
In fondo Mario Draghi ti ha fatto un complimento e una proposta interessante. Tu lasci le donne in piedi, magari in cucina, e noi ti critichiamo per finta solidarietà femminile, ma poi, seduti come Michel, parliamo di affari.
Sei o non sei un Sultano!? Dimostralo! Noi siamo interessati, nell'interesse del Paese.