L'agenda di Mario Draghi per il meeting di Washington con Biden è già molto piena di problemi, ma sarebbe utile trovare un pò di tempo per discutere del petrolio in Venezuela, sia per risolvere alcuni noti problemi energetici sia per sottrarre un alleato al despota Putin. Il momento è favorevole.
La guerra di Putin contro l'Ucraina ci ha posto un dilemma, ben sintetizzato dalla metafora "o il condizionatore o la pace" pronunciata da Mario Draghi.
La Russia, per comoda e conveniente miopia dell'Europa, nell'ultimo decennio ci ha sottomessi con un ricatto energetico totale, sia per il gas che per il petrolio.
Abbiamo finanziato oligarchi, mafiosi e criminali di guerra. Mentre la pasta si cuoceva nelle nostre pentole, grazie al gas russo, il denaro affluiva nelle banche degli oligarchi e giorno dopo giorno Putin allargava il suo potere, consolidava una mostruosa macchina di oppressione e minacce di cui solo ora ci rendiamo conto.
Altro che condizionatori e riscaldamento. Ci meriteremmo 20 anni di caldo torrido o di gelo siberiano per aver chiuso occhi e cervello su un problema così macroscopico.
Da dove proviene l'energia con cui gira il nostro benessere? quale prezzo politico e morale paghiamo per il gas e il petrolio che importiamo, non solo dalla Russia?
E' davvero utopico pensare di "tracciare" l'energia con cui funziona ogni anfratto della nostra società? quando faccio il pieno di benzina alla mia auto posso sapere quale governo o regime sto finanziando?
La guerra di Putin all'Ucraina ha un "merito" indiretto e amarissimo: ci ha posto di fronte ai numeri dell'affare energetico, i miliardi incassati da Putin, la percentuale di dipendenza di ciascun paese e quindi la sua vulnerabilità al ricatto.
Ora nessuno di noi può dire di non sapere.
Sarà bene che il tema dell'indipendenza energetica, o meglio della diversificazione degli approvvigionamenti di gas e petrolio, si affianchi a quello delle fonti rinnovabili e della transizione energetica.
Quando andremo a votare per un partito o per un'alleanza di governo, bisognerà chiedersi se e come pensano di affrontare la questione della dipendenza energetica.
Mario Draghi va a trovare Joe Biden negli USA.
Va a riscuotere il plauso americano per la posizione del governo italiano sull'Ucraina.
Dopo una partenza incerta e lo "schiaffo" di Zelensky a Draghi per la telefonata non pervenuta, il presidente del consiglio italiano si è ampiamente e sinceramente ravveduto per aver sottovalutato gli accadimenti e si è mosso molto più incisivamente in appoggio all'Ucraina.
Non solo per le armi ma soprattutto per aver spinto sulle sanzioni economiche l'intero schieramento europeo e in particolare i dubbiosi opportunisti tedeschi.
Draghi è stato tra i primi a dire con molta chiarezza che le sanzioni alla Russia non potevano non prevedere anche un embargo dei prodotti energetici. Draghi inoltre ha proposto di rivedere i contratti di acquisto di gas e petrolio, uniformandoli a livello europeo in modo da avere un maggior potere contrattuale e di introdurre clausole di "tetto" ai prezzi di acquisto per limitare i ricatti di un singolo paese.
Mario Draghi ha spinto la posizione italiana a fianco dell'Ucraina ben oltre quello che era immaginabile sulla base delle posizioni dei due maggiori partiti che lo sostengono, M5S e Lega.
Forte di questa prova sul campo, Mario Draghi può presentarsi da Joe Biden non solo per farsi appuntare qualche medaglietta ma anche per fare qualche richiesta utile agli interessi degli italiani in tema di approvvigionamenti energetici.
Mario Draghi dovrebbe chiedere a Joe Biden di "liberare" le riserve di petrolio in Venezuela, ponendo fine alle sanzioni contro il regime di Maduro e favorendo una soluzione della crisi politica venezuelana che dura da quasi venti anni con costi sociali ed economici enormi.
Il Venezuela può diventare per l'Italia e l'Europa la via d'uscita dal ricatto russo
Il Venezuela un tempo era uno dei principali esportatori di petrolio al mondo, ora è ridotto a un ruolo marginale, ha una pesante arretratezza nelle tecnologie estrattive e nella logistica, una crisi istituzionale profonda scaduta in un evidente regime di oppressione che fa impallidire anche gli anni di Chavez.
L'ente statale che governa la produzione petrolifera, la PDVSA, Petróleos de Venezuela S.A. è in mano a un manipolo di incapaci corrotti, è legato mani e piedi alle aziende petrolifere russe che gli hanno garantito di aggirare in parte l'embargo americano in cambio di pesanti tangenti.
Grazie alla ottusità politica americana, la stessa dimostrata nei confronti di Cuba, il Venezuela è finito nella rete di Putin e questo è il principale ostacolo per la ricerca di una soluzione alla crisi venezuelana.
Russia e Stati Uniti hanno avuto molta convenienza in passato a tenere "congelato" il petrolio e il gas del Venezuela e favorire l'estrazione nel proprio territorio, ma ora la situazione è diversa e capovolta.
Paradossalmente la guerra scatenata da Putin in Ucraina rappresenta un'opportunità per "liberare" il Venezuela dai legacci russi.
Nei primi giorni dopo l'invasione, Maduro si è incontrato segretamente con alcuni emissari americani, cosa che ha fatto pensare ad una imminente fine delle sanzioni al regime.
Anche l'Italia, alla ricerca di fornitori, ha mosso qualche passo in direzione di Caracas, sembra con qualche risultato positivo ...
L'obiezione più naturale al tentativo italiano di porre fine all'embargo contro il Venezuela è condivisibile: per liberarci dal ricatto di un dittatore come Putin non è saggio, nè giusto, sottomettersi a quello di un altro dittatore come Maduro.
Obiezione sacrosanta, ma la realtà è un pò più articolata e diversa da quello che sembra.
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1) La "pericolosità" sociale e politica della dittatura Maduro è di gran lunga inferiore a quella di molti altri partner economici italiani. Basti pensare all'Egitto di Al Sisi o alla Turchia di Erdogan, per non parlare di Arabia Saudita o Cina.
Il Venezuela non ha un granchè di esercito con cui minacciare altre nazioni, ha un apparato di polizia corrotto e feroce ma anche un'opposizione interna che gode di diritti e spazi impensabili nei succitati paesi, con il limite però di essere anch'essa incapace e divisa.
2) Molti dei problemi della società venezuelana potrebbero essere risolti se l'Europa non lasciasse agli Stati Uniti il monopolio dell'ingerenza e iniziasse a vedere nel Venezuela una opportunità di sviluppo, come lo è stato dopo la Seconda Guerra Mondiale.
3) L'economia venezuelana basata sul petrolio è collassata e per riprendersi ha bisogno di tecnologia e Know How che i russi non possono dargli, perchè anche loro dipendono in gran parte dai tecnici occidentali. L'Italia attraverso l'ENI può offrire tecnologie e sbocchi convenienti per il petrolio venezuelano.
4) Il Venezuela ha le più grandi riserve mondiali di greggio, in gran parte collocate nelle zone interne dell'Orinoco. Un greggio più "pesante" e "sporco" rispetto a quello mediorientale, ma con il vantaggio di trovarsi a profondità più accessibili.
5) I rapporti diplomatici tra Italia e Venezuela sono discreti e negli ultimi mesi sono migliorati
6) Negli ultimi due anni, finita l'illusione trumpiana di Juan Guaidò, e nonostante le dure sanzioni, l'economia venezuelana si è ripresa. Con l'aumento del prezzo del petrolio, pur senza una crescita dei volumi estratti, i maggiori introiti hanno consentito al regime di alleviare la drammatica crisi alimentare e industriale nel paese e di riguadagnare una parte di consensi.
La guerra in Ucraina e le pesanti sanzioni contro la Russia pongono Maduro, che formalmente è alleato del despota russo, di fronte al dilemma se sia giunto il momento di liberarsi di una "alleanza perdente" approfittando delle necessità energetiche dell'Europa.
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Altra obiezione forte: il Venezuela è un alleato dell'Iran, dal quale riceve gran parte dei sistemi ingegneristici di estrazione del petrolio e delle vie di aggiramento delle sanzioni americane.
Per liberare il petrolio venezuelano bisogna in qualche modo confrontarsi con il problema dell'embargo americano all'Iran dovuto al tentativo di Teheran di fabbricare "testate nucleari", allentato durante la presidenza Obama ma indurito con Trump e Netanyahu.
Anche l'Iran è un socio di Putin e l'esito della guerra in Ucraina influirà sicuramente anche sul tentativo iraniano di dotarsi di armi nucleari.
Gli iraniani negli ultimi due mesi hanno intensificato i loro viaggi a Caracas.
(in aggiornamento)
Di carne al fuoco ce n'è tanta, ma Mario Draghi ha fama di essere sintetico ed efficace.
Nel suo incontro con Biden non perda l'occasione per parlare del Venezuela.
i.fan.
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Date Created: 10/05/2022 07:51:25