L'opinione prevalente con cui il mondo cerca di spiegare il successo indiscutibile della Cina nella guerra a COVID-19 è che il regime di Xi Jinping ha potuto fare quello che altri, Europa e Stati Uniti ad esempio, non hanno nemmeno potuto provare a fare.
Stringere l'intera popolazione di 1,5 miliardi di individui in una gigantesca gabbia, ciascuno isolato e telecontrollato nel proprio loculo in attesa che il coronavirus si estinguesse naturalmente.
Questa tesi non spiega perché altri regimi autoritari, ad esempio l'Iran o la Corea del Nord, dove vita e morte dei cittadini dipendono dalle disposizioni di polizia, non sono riusciti a contenere il contagio.
E in Occidente l'esempio cinese viene utilizzato come spauracchio nei confronti di No Vax e No Green Pass. "Se non accettate queste misure (vaccino e certificato verde) per combattere il coronavirus, dovremo fare come in Cina" lasciando sottintendere anche un'eventuale e pericolosa limitazione delle libertà individuali.
Un'altra opinione, ad uso e consumo dei "suprematisti occidentali", spiega il successo cinese con la teoria del complotto. Il virus di Wuhan non è scappato dal Wuhan Institute of Virology accidentalmente, ma è stato costruito e poi diffuso per colpire il resto del mondo, contando sul fatto che la Cina avrebbe avuto i mezzi per circoscrivere la pandemia al proprio interno e avendo gran parte della popolazione un sistema immunitario già attrezzato da secoli contro i coronavirus diffusi dai pipistrelli.
La pandemia di Covid-19 come una gigantesca bomba per affermare il predominio della Cina.
Questa tesi complottistica spiega molto, anzi troppo, per essere vera e fondata, anche se il regime di Xi Jinping fa poco per smentirla quando si pavoneggia come primo della classe nella lotta alla pandemia.
Un'altra ipotesi, che a me sembra molto più convincente, è che la Cina sia stata colta di sorpresa dal coronavirus studiato morbosamente nei suoi superlaboratori, ma che poi abbia avuto la capacità di trasformare in tempi rapidissimi la possibile sconfitta in un'occasione unica e irripetibile per mettere in campo tutto l'armamentario ideologico, istituzionale, militare, scientifico, tecnologico su cui il regime si regge e si consolida.
I numeri, per quanto ampiamente manipolati, stanno a dimostrarlo. Secondo i dati ufficiali, in Cina la pandemia ha causato finora 4848 morti e circa 107mila contagi. Qualcuno sostiene che i numeri veri andrebbero moltiplicati per 10, ma anche in questa ipotesi sono molto al di sotto dei drammatici livelli raggiunti negli U.S.A., in Europa, in India in Russia o in Sud America.
Quasi tutti i meriti cinesi vanno ascritti ad uno scienziato epidemiologo che al momento opportuno si è rivelato essere un fine politico e un coraggioso generale, Zhong Nanshan, l'eroe della prima guerra al SARS.
A lui va il merito di aver fatto capire ad un riluttante Xi Jinping cosa fosse la minaccia del Sars-Cov-2 e di aver elaborato un modello di controllo sanitario e sociale, il lockdown, poi ricopiato con molte incertezze e differenze sostanziali nel resto del mondo.
Quel modello è in vigore ancora oggi, nonostante i vaccini e le altre misure di prevenzione, ed è stato utilizzato negli ultimi mesi per impedire che la variante Delta proveniente dalla vicina India e diffusasi a macchia d'olio in tutto il sudest asiatico potesse varcare la grande muraglia.
A luglio ai primi cenni di contagi a Nanchino è scattata la macchina del lockdown totale dell'intera città, milioni di tamponi in pochi giorni per dare la caccia agli asintomatici, vaccinazioni a tappeto.
L'allarme scoppiato a fine luglio è rientrato a fine agosto.
In qualsiasi altro posto del mondo, una crescita di contagi di poche decine di unità non sarebbe stata nemmeno oggetto di cronaca.
In questi giorni la scena si ripete in un'altra provincia.
Un cinese rientrato da Singapore a Fujian nella Cina orientale ha infettato due studenti, creando un focolaio che in una settimana ha coinvolto alcune decine di persone. La macchina da guerra è scattata immediatamente, migliaia di tamponi, isolamento delle città, ecc ecc.
Anche in Cina si discute della terza dose, fatto salvo l'obbligo delle prime due, già somministrate al 70% della popolazione, a cui si aggiungeranno anche i bambini con età dai tre anni in su, con uno specifico vaccino della Sinopharm.
Il Sinovac cinese è stato al centro di aspre polemiche nei paesi che lo avevano adottato per le proprie popolazioni. Dal Brasile, al Cile alla Turchia, il vaccino cinese ha fatto emergere effetti collaterali pesanti e una scarsa efficacia nella protezione dal Covid.
Persino l'epidemiologo Zhong Nanshan ha dichiarato che l'efficacia del vaccino cinese si ferma al 70% (contro il 95% dei vaccini prodotti da Pfizer o Moderna) e considera un successo vaccinare l'80% della popolazione entro la fine dell'anno.
Nonostante l'apparenza di efficienza e ordine, la macchina da guerra al covid messa in piedi dal regime di Xi Jinping ha un costo sociale ed economico elevato.
Dopo il lockdown, la ripartenza delle attività c'è stata ma è sempre sotto la spada di damocle dei controlli asfissianti e siccome gran parte dell'economia cinese è interconnessa con gli altri paesi che sono ancora alle prese con la quarta ondata di coronavirus, i motori della ripresa non possono girare a pieno ritmo.
Senza contare i costi dell'enorme apparato sanitario-politico-militare che è impegnato quotidianamente e sottratto ad altre attività per essere disponibile sul "fronte di guerra".
La vera differenza tra la Cina e il resto del mondo è che il regime cinese sembra avere ancora molta paura del coronavirus, mentre tutti gli altri governi sono soggetti ad una facile euforia e da interessi a breve termine.
La paura del coronavirus serve al Partito Comunista non solo per combattere il covid ma per consolidare nella popolazione l'accettazione dei sistemi di controllo permanenti e pervasivi, per giustificare l'emergenza della "sicurezza nazionale" con cui ha messo il bavaglio ad Hong Kong, annullando in piena pandemia la promessa del "two systems one country".
E con l'aiuto dell'emergenza COVID-19, Xi Jinping spera ancor più di riuscire a regolare i conti anche con Taiwan, approfittando dello stato confusionale e debolezza degli Stati Uniti dopo la debacle in Afghanistan.
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