Altro che MAGA, Trump ha rotto per sempre il giocattolo americano


Tutto il mondo volta le spalle all'America, tutti si sbarazzano di dollari e bond, Wall Street aspetta altri ribassi, la liquidità scarseggia. Nerone Trump fa dietrofront, e Xi Jinping ne approfitta

Giorgia Meloni va da Trump e Pedro Sanchez va da Xi Jinping
Giorgia Meloni va da Trump e Pedro Sanchez va da Xi Jinping

i. fan. - 12 Aprile 2025 ID: 4681

La scintilla dei dazi ha scatenato incendi a ripetizione.

Ha fatto scalpore il tonfo di Wall Street del 10% in un solo giorno, ma a ben vedere è l'aspetto meno preoccupante anche se più appariscente.

 

Le fiamme della paura finanziaria hanno attaccato gli enormi depositi di titoli di stato americano, i Treasuries che fino a ieri erano il porto sicuro in cui ripararsi quando si scatenava un ciclone finanziario.

 

Questa volta il porto sicuro è più turbolento e pericoloso del mare aperto, e molti stanno scegliendo di uscirne fuori e affrontare la tempesta.

Oltre ai titoli del Tesoro americano sta crollando anche il dollaro, altro bene rifugio durante le turbolenze.

La moneta USA ha perso quasi il 10% nel cambio con l'euro, e sta diventando l'incubo dei banchieri centrali di tutte le nazioni.

 

Se il dollaro continua a scendere, entrano in crisi i mercati valutari, quelli nei quali ogni giorno scorre il sangue che alimenta l'economia reale e la finanza, il sistema bancario internazionale.

 

Se il dollaro non viene più ritenuto una valuta forte e affidabile, crescerà la voglia di de-dollarizzazione dei commerci e dei sistemi di pagamento, a vantaggio di altri equilibri valutari. In poche parole sarebbe la fine dell'era di Bretton Woods, quando il dollaro prese il posto dell'oro come riferimento internazionale. 

Un mondo che non ha più bisogno del dollaro sarebbe la fine del potere americano di stampare moneta per risolvere i propri problemi e scaricarli sugli altri.

Senza dimenticare lo stretto legame tra il potere economico e quello militare, l'uno a supporto dell'altro.

 

Se l'incendio dei dazi si trasmette alle banche, diventa una reazione a catena, come accadde 18 anni fa - molti non ricordano che la crisi dei subprime scoppiò nell'estate del 2007 e covò per un anno fino al crack di Lehman Brothers del 2008 - e questa volta sarà la Casa Bianca ad essere presa presa d'assalto da folle inferocite più di quanto fece Trump a Capitol Hill il 6 gennaio 2021.

 

A differenza di 18 anni fa, la guida dell'impero ora è nelle mani di un volgare biscazziere narcisista e gran parte dei suoi cortigiani messi a comandare i gangli centrali dell'amministrazione sono un branco di incompetenti e succubi dei metodi del boss mafioso.

 

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Xi Jinping, mentre guarda le fiamme attizzate da Trump, ribatte con calma apparente e appelli al patriottismo cinese.

Pechino rispolvera l'icona di Mao Zedong, perché Xi Jinping ha fiutato che il momento è del tutto eccezionale, come la leggenda che avvolge le gesta dell'antico boss cinese.

 

Xi Jinping pensa di essere in una posizione win-win nei confronti di Trump e della sua pretesa egemonica verso la Cina.


Ha rialzato i dazi seguendo le mosse americane fermandosi a quota 125% (mentre Trump è arrivato al 145% contro le merci cinesi) sapendo che questi numeri non contano più nulla, e spararla grossa - come fa Trump - è solo sintomo di incompetenza e autodistruzione.

 

La Cina si attrezza e corre ai ripari, perché il caos del commercio mondiale la danneggia e non poco, ma agisce anche sul piano politico delle alleanze internazionali, rafforzando le vecchie e creandone di nuove, laddove Trump sta facendo esattamente l'opposto isolando gli Stati Uniti come mai si poteva immaginare qualche mese fa.

 


 

Trump è in un vicolo cieco.

 

Al punto in cui si è spinto è in una posizione perdente, qualunque mossa faccia.

 

Se arretra - come sembra che stia facendo - non riuscirà a recuperare né sul piano interno né su quello internazionale.

La crisi finanziaria ed economica che ha innescato potrà essere alleviata ma solo in parte e ad un costo molto grande.

Il dollaro e i titoli di stato difficilmente torneranno ad allettare gli investitori in tempi brevi.

I tassi rimarranno alti e l'economia ne soffrirà, con meno consumi, meno profitti e più disoccupazione.

Anche i suoi amici banchieri e Musk glielo hanno spiegato e per questo Trump sembra disposto ad arretrare. Prima ha concesso una sospensione di 90 giorni sull'entrata in vigore dei dazi, lasciando quelli contro la Cina, poi ha iniziato ad escludere dalle tariffe doganali alcuni settori merceologici come smartphone (leggasi Apple prodotti in Asia) e PC (Taiwan).
La ritirata dello smargiasso è evidente.



Se invece non arretra, ma anzi continua in una strategia di escalation e scontro frontale del tipo "vediamo chi va a sbattere per primo", Trump ha buone probabilità di non finire il suo mandato in modo naturale.

 

I pretesti per buttarlo giù dal trono non mancheranno, come già si intravede dietro lo scandaloso sospetto di insider trading generato dalle sue stesse affermazioni su "faremo un mucchio di soldi".

Elon Musk gli ha dato indirettamente del cretino, Murdoch gli ricorda ogni giorno che un presidente americano è diverso da uno russo.

 

Molti ribattono che questi scenari che considerano Trump un perdente, sono dei pii desideri, mentre la realtà è ben diversa e cupa per gli anti-trumpiani: la strategia di Trump punta a scuotere subito i centri di potere - soprattutto quelli dell'establishment democratico - e le vecchie diplomazie internazionali per sostituirli con un "nuovo ordine" sia dentro che fuori l'America.

Quindi l'incendio stile Nerone che sta provocando non farà altro che spianare il terreno al potere del MAGA, prima in America e poi nel resto del Mondo.

 


 

 

Giorgia Meloni pensa che puntare sul cavallo Trump sia ancora una buona scommessa vincente e per questo si sobbarca di nuovo in un viaggio alla corte del biscazziere.


Che cosa può dire Giorgia Meloni a Donald Trump tra pochi giorni?

 

Farà la brava maestrina che rimprovera il bambinone per aver detto frasi scurrili?

Gli porterà una forma di parmigiano implorandolo di non distruggere con i dazi l'arte del formaggio ( e del prosciutto e del vino e del ecc ) italiano?

Chiederà a Trump di considerare l'Italia patrimonio del MAGA (in sostituzione dell'UNESCO) e quindi da proteggere in modo esclusivo, magari realizzando a Ostia la Riviera che vorrebbe fare a Gaza?

 

A parte le battute, è evidente che anche i sovranisti europei, pur ammaliati dal bullismo di Trump, hanno qualche difficoltà a fare i "pontieri" e a spiegare ai loro elettori che l'America è finita e che ora sta arrivando Xi Jinping che tutto sommato essendo un tiranno dovrebbe continuare a piacergli.

 

Xi non ha perso tempo a fare la serenata sotto le finestre di Europa e ha già raccolto i primi frutti con la visita in Cina del premier spagnolo Pedro Sanchez.

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Bella trovata quella dei leader di Europa.

Nell'incertezza estrema di questi tempi è meglio stare in due scarpe anzichè rischiare su una sola, perciò Giorgia Meloni va da Trump e Pedro Sanchez va da Xi Jinping.

Perché o l'uno o l'altro saranno i vincitori di questa guerra dei dazi che in realtà è una guerra per l'egemonia economica, politica e militare dei prossimi decenni.


Una guerra in cui per la prima volta gli Stati Uniti non sono più "gli alleati" naturali.

 

La strategia del MAGA per ora ha sortito un solo effetto, dentro e fuori l'America: quello di rompere il giocattolo americano con cui intere generazioni sono cresciute, più o meno felici e protette, pensando sempre che nelle notti buie e tempestose "arrivano i nostri" a salvarci dai brutti sogni.

Trump ha rotto quel giocattolo, per molti anni a venire non sarà facile ripararlo con qualche aggiustamento sui dazi, e ora dovremo imparare a farne a meno, senza illudersi con i giocattoli made in China.


 

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Key1: Trump keywords: Donald Trump, Xi Jinping, Cina, Giorgia Meloni, USA, Guerra dei dazi,

Date Created: 12/04/2025 18:49:57


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