La guerra di Gaza non esiste più da molte settimane.
Ormai nella Striscia devastata si combatte un'altra guerra, quella che un uomo perfido e corrotto, saldamente al comando del sistema politico che lo ha espresso, combatte dal 7 ottobre 2023 per rimanere al suo posto di potere, incurante delle proteste delle famiglie degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, incurante della sfiducia che larga parte dell'opinione pubblica israeliana, dai fanatici dell'ultradestra ebraica ai rimasugli di laburisti e progressisti, gli manifesta ad ogni occasione.
Benjamin Netanyahu ormai combatte la sua guerra personale, contro i palestinesi, contro buona parte della diplomazia occidentale, contro le Nazioni Unite, contro chi gli chiede di dimettersi e farsi da parte alla fine di un ventennio in cui ha trascinato Israele al punto più basso di sopportazione internazionale.
Nella sua guerra personale contro tutti i palestinesi e contro tutto il buonsenso, Netanyahu ha un potente alleato che non è certamente il confuso Joe Biden a cui cerca in ogni modo di far perdere le elezioni USA 2024 per riabbracciare l'amico Trump.
Il potente alleato di Netanyahu era e rimane Hamas, il responsabile della strage e degli orrori del 7 ottobre, il gruppo islamista che ha preso il potere a Gaza grazie all'estremismo di Netanyahu, all'escalation di retorica, bugie e affari, quasi tutti loschi, che ha circondato la questione palestinese negli ultimi 20 anni, regalando ad Hamas le "simpatie" dei palestinesi imprigionati a Gaza a cui Hamas spacciava l'idea menzognera di avere le chiavi per uscirne liberi e vittoriosi. E sistematicamente Hamas dava a Netanyahu il pretesto per bombardare, uccidere, reprimere, occupare, umiliare, i palestinesi, sia quelli di Gaza che quelli in Cisgiordania.
Netanyahu ringraziava, Hamas restava e preparava il pretesto successivo. Fino al 7 ottobre, di cui Netanyahu "ignorava" i preparativi che per altri erano evidenti.
La reazione di Israele al 7 ottobre era prevedibile e per alcune settimane ha avuto anche il sostegno o la giustificazione di molti settori dell'opinione pubblica internazionale.
Ma dopo un mese di bombardamenti indiscriminati, migliaia di vittime civili e distruzione di ogni segno di vita sociale, accompagnati dalle considerazioni politiche che azzeravano qualsiasi speranza per uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano, si era già capito dove Netanyahu volesse arrivare.
Distruggere Gaza, sfollare i palestinesi fuori dalla Striscia, occuparla in modo permanente, dichiarando al mondo intero il vero obiettivo del fanatismo ebraico: annientare i palestinesi, cancellarli per sempre dalla Palestina.
Chi osa criticare questa strategia viene bollato di antisemitismo, come è capitato persino al cardinale Parolin, segretario di Stato del Vaticano, che aveva espresso "sdegno per la carneficina" e per la "reazione sproporzionata di Israele, il diritto alla difesa non giustifica trentamila morti".
Per raggiungere l'obiettivo di far scomparire la Palestina, mai così a portata di mano da 70 anni a questa parte, Netanyahu ha bisogno di tempo.
Non il tempo della guerra militare, perché quella è già finita anzi mai iniziata data la disparità evidente delle forze e degli armamenti, bensì il tempo per azzerare decenni di passi diplomatici, alleanze, considerazioni e far apparire "naturale" e ovvia la soluzione che la destra fanatica ebraica prospetta, arrivando dove nemmeno i falchi del passato avevano osato: negare ai palestinesi l'accesso alla moschea di Al Aqsa di Gerusalemme nei giorni del Ramadan.
Il tempo per Netanyahu è necessario per far decantare la rabbia dei familiari degli ostaggi, farli rassegnare a non rivederli mai più per "colpa di Hamas"; è necessario per "completare l'operazione a Rafah e uccidere Yahya Sinwar" sapendo che il capo di Hamas è già fuggito da un pezzo, ma con questa scusa Israele vuole costringere un milione di palestinesi a varcare il confine con l'Egitto per poi "chiudere le porte".
La strategia di Netanyahu è a metà strada tra l'occupazione illegale e la pulizia etnica, tra i crimini di guerra e il genocidio.
Il tempo serve a Netanyahu per controbattere a chi lo critica di "inefficienza" nel non aver saputo prevenire il 7 ottobre, serve per creare un consenso attorno al suo operato dall'estrema destra al centro moderato.
Come ha dimostrato imponendo alla Knesset di votare una sua mozione dove si afferma che Israele non consentirà MAI la nascita di uno Stato palestinese autonomo.
La "sua mozione" - come ha tenuto a precisare Netanyahu - ha ottenuto la stragrande maggioranza dei voti della Knesset, ad eccezione dei laburisti che hanno disertato il voto, consentendo al boss israeliano di rivendicare di aver "riunificato Israele".
Ecco perché il tempo serve a Netanyahu.
E Hamas, ancora una volta dimostra di essere la Creatura di Netanyahu e gli viene incontro.
Anzichè deporre le armi e accettare la sconfitta, magari patteggiando la libertà per le milizie rimaste in cambio degli ostaggi, consentendo alla popolazione di Gaza di scampare ad altri massacri e sperare in una faticosissima ricostruzione, Hamas continua a fare proclami di vittoria e martirio, musica per le orecchie degli israeliani che possono così continuare il tiro al bersaglio.
I palestinesi hanno capito da tempo che la "resistenza" di Hamas giova soltanto a Netanyahu e cominciano a contestare pubblicamente le milizie islamiche rimaste.
La notizia della fuga di Sinwar è stata fatta trapelare da fonti americane, non dagli israeliani.
Joe Biden ha tutto l'interesse a far finire l'occupazione della Striscia di Gaza, perché una parte della sua base elettorale è filopalestinese ed è sempre meno disposta a votarlo.
Biden inoltre deve evitare che il prolungarsi dei massacri a Gaza si combinino con l'escalation in Libano e Siria.
L'interesse americano è di spegnere l'incendio in Medio Oriente, quello di Netanyahu all'opposto è di appiccare altre fiamme per prolungare la vita del suo governo.
Per questo Netanyahu tiene ancora in vita la sua creatura Hamas.
(in aggiornamento)
i.fan.
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Date Created: 21/02/2024 22:12:26